A distanza di quasi 30 anni dalla laurea, mia madre mi chiede ancora come mai mio marito non faccia il commercialista. Se lo chiedeva già 20 anni fa, in tempi in cui girare fiction di delitti irrisolti per la tv e documentare storie in aree svantaggiate di mondo, poteva ancora passare per un capriccio di gioventù. Erano tempi in cui la parola freelance la conoscevano solo a Milano e il precariato non era ancora diventato un mestiere. Che fai? Il precario. Anni in cui le partite iva si chiamavano liberi professionisti, e solo dirlo faceva molto fico. Dunque non c'era niente di male a fare il videomaker, o come volete chiamarlo, invece che il consulente fiscale con studio avviato in centro. Ma dal suo punto di vista, quello di mia madre, laurearsi in Bocconi senza ambire alla più prestigiosa e ben remunerata professione che quel pezzo di carta poteva offrire (escludendo la Presidenza alla Bce e il Nobel per l'economia), era uno spreco.

Non le ho mai detto che il vero motivo per cui mi ero innamorata, per puro caso, di un bocconiano - in tempi in cui la categoria era così accreditata da meritare una famosa parodia su Drive In e una corsia preferenziale per incarnare l'eroe simbolo degli Anni 90, ovvero lo yuppie - era proprio il suo essere un bocconiano atipico. Senza valigetta, senza scarpe firmate e senza gel nei capelli. Che oggi può sembrare anche normale, ma allora era un'anomalia, essendo il prestigio di quell'esemplare d'Ivy League de noantri così alta, da spingere i candidati che venivano a iscriversi da ogni parte d'Italia a presentarsi al test d'ammissione in giacca e cravatta con la 24 ore contenente solo una matita. Di lui e dei suoi coinquilini fuorisede, scapestrati e sciallati, amavo proprio la pervicace determinazione a non prendersi troppo sul serio e a esibire lo status di fuoricorso come autocertificazione di anticonformismo e libertà. Solo uno di loro è entrato in banca, gli altri hanno intrapreso ciascuno la sua strada, rimpiangendo forse tutti quegli anni buttati su "accounting and finance", per far felici mamma e papà, potendo nel frattempo fare altro, magari con più frutto e più soddisfazione. È che allora spettava ai genitori decidere del futuro dei propri figli. Facendone dei buoni partiti o delle cacciatrici di buoni partiti, a seconda del genere.

Precari a vita

Ora che il lavoro è una voce così evanescente e incerta nella check list dei nostri ragazzi, e che non basta frequentare una facoltà di prim'ordine per trovare il posto dei sogni - c'è chi non si prende neppure la briga di studiare e cercare, tale è lo sconforto, andando a ingrossare la fila dei neet, i giovani "nulla-facenti", saliti in Italia a quota 19,9 per cento, secondo l'ultima indagine dell'Esde, contro l'11,5 per cento della media europea - il buon partito non esiste più. Né quello di ieri, per ridimensionamento strutturale dei profitti d'oro dei fu professionisti, come ha rivelato un'inchiesta di Panorama, né quello di domani, ché i nuovi "occupati" si barcamenano tra contratti atipici e stipendi più bassi del 60 per cento rispetto a quelli degli ultrasessantenni, diventando gli scapoli meno ambiti della storia dell'umanità. Ma forse non è una cattiva notizia. Perché l'idea di garantirsi, col matrimonio giusto, agiatezza e prestigio sociale l'ho sempre trovata svilente e anacronistica. Persino d'intralcio per l'evoluzione della "specie" (femminile).

brigitte macron look miglioripinterest

Sapete quante donne brillanti e di talento si sono immolate alla causa del marito di successo? Donne che se non avessero fatto un passo indietro per fare posto a lui, dedicandosi in via esclusiva alla famiglia, oggi sarebbero chissà dove. È quel che volevano, probabilmente, e non le giudico. Mi piacerebbe almeno però che fosse loro riconosciuto il merito. Di Mirke e di Brigitte - mi riferisco alle signore Federer e Macron - ce ne sono tante nel nostro mondo meno patinato, compagne che hanno fatto della carriera dell'altra metà la propria mission, trasformandosi in coach, motivatrici, detonatrici dell'ambizione altrui. Vi pare poco? La vera parità sarà raggiunta quando succederà (anche) il contrario. Stipendio a parte, è questo il plus di un vero "buon partito".

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetemi a: direttoregioia@hearst.it