Estate, Milano, colonne di San Lorenzo. Ci si vede con vecchi amici in un piccolo locale coi tavolini all'aperto. Si ordina Coca e birra. La Coca arriva senza ghiaccio, l'afa malgrado l'ora dà alla testa. Due expat del gruppo si lamentano. Vivono da anni negli Stati Uniti e sono diventati intolleranti alle bibite senza cubetti e alle molestie del clima non domato. Laggiù da loro hanno abolito da tempo gli inconvenienti della stagionalità. In estate si vive nelle ghiacciaie dei luoghi chiusi con condizionatore a palla, in inverno nel caldo malato degli ambienti sopra i 30 gradi. Il meteo è una cosa fuori dai vetri da cui stare al riparo. La notte è bella, ci sono le stelle, ma loro lì, in quel santuario di sampietrini e movida sciallata, reclamano un posto dentro, vicino al bocchettone. Il bocchettone non c'è, c'è solo una pala che gira pigramente. Vecchia Milano che ostenta un'aria vintage per la causa hipster. Non lo capiscono, sono indignati, danno ai presenti dei trogloditi.

Come la mettiamo con il global warming?

Ma che paese è un paese in cui si suda persino a quell'ora? Da loro tutti, anche i più poveri, hanno un climatizzatore. A casa e in auto, ovunque. Sempre acceso, come la luce, pure quando si esce. Lo spirito eco dei trogloditi rugge. E come la mettiamo con l'ozono? Col global warming? Con gli orsi polari? Noi qui, ginetti, attenti a non disperdere inutilmente CO2, a interrogarci sulle targhe alterne, a fare la guerra alle polveri sottili, e loro dall'altra parte dell'oceano, a ridersela dell'effetto serra, mandando in malora il mondo intero per stare freschi in Ohio e in Minnesota.

Donald Trump non deve sfilarsi dagli accordi sul clima

Quando il presidente Donald Trump nei giorni scorsi ha dichiarato che gli Usa si sfileranno dall'accordo di Parigi, il più importante mai firmato per contrastare il riscaldamento globale riducendo le emissioni di gas serra, mi è rivenuta in mente quella sera a Milano. Perché ho riprovato, su larga scala, la stessa frustrazione che si prova quando si lotta per una causa comune e il solito furbo o disgraziato ti gira le spalle e ti lascia da solo. Non tanto e non solo perché non vale, ma perché certe sfide per essere vinte richiedono il contributo di tutti, lo sforzo collettivo, sennò è come pulire in dieci una stanza mentre un cretino, dietro, continua a buttare cartacce e lattine. Per fortuna non tutti sono come i miei amici expat e come Trump, cioè irresponsabili e anacronistici. Perché pensare di ignorare l'impegno a mantenere al di sotto dei 2°C l'aumento della temperatura globale significa, come ha detto Obama - che ha sottoscritto nel 2015 quel trattato con altri 195 Paesi - "rifiutare il futuro". E infatti, l'America moderna ed ecofriendly non ci sta: hanno protestato 61 sindaci in rappresentanza di circa 36milioni di cittadini; le amministrazioni di New York, Los Angeles, Boston, Chicago; le grandi industrie fan dell'economia green.

Non distruggiamo il pianeta

E intanto io mi chiedo come siamo arrivati fin qua, a questo pianeta così ridotto male. Dov'è che abbiamo sbagliato e perché? Per superbia, delirio d'onnipotenza, avventatezza? Quand'è che abbiamo perso il controllo e deciso che potevamo disporre della natura come volevamo, piegarla ai nostri capricci, sciuparla in nome del progresso e del profitto? Rimpiango i giorni col maglione spesso e la canotta di lana in casa a studiare, mentre fuori l'inverno passava e i caloriferi alitavano un timido tepore; le estati col braccio fuori dal finestrino a masticare vento e aria calda in autostrada; le camicie appiccicate in classe gli ultimi giorni di scuola; le mani allacciate nelle tasche del suo caban a dicembre aspettando un bacio rapido e caldo all'ora di ricreazione. Era più bello e poetico il mondo non addomesticato. Magari meno comodo, ma più gustoso di questo in vaschetta coi Natali in t-shirt.

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