Mutano i presidenti alla Casa Bianca e all'Eliseo, nuovi missili partono dalla Corea del nord, versioni sempre più costose ed elaborate di smartphone invadono i mercati globali. Per non parlare degli uragani sempre diversi che aggrediscono le coste del Messico. Ma Roma non cambia mai.

Era zozza col sindaco di centrodestra. Era lercia con quello del Pd. È sudicia con la sindaca cinquestelle. Nulla nel pianeta è più immutabile dell'olezzo emanato dai cassonetti traboccanti che addobbano le strade della capitale. Quasi tutti tenuti con le bocche aperte da provvidenziali bastoni che permettono a un esercito di parassiti del rifiuto di razzolarci dentro. D'altra parte, il recupero di materiali di scarto dai cassoni alimenta un florido mercato parallelo di ferro, carta, elettrodomestici e sanitari.

Eppure, di fronte allo sfacelo di marciapiedi e giardini impraticabili, la politica non fa altro che rimpallarsi le responsabilità. La sindaca Raggi, che aveva promesso la rivoluzione dei rifiuti, costretta a pagare i tedeschi perché si prendano l'immondizia romana. E sempre pronta a incolpare le amministrazioni precedenti. Matteo Renzi che invita i militanti a indossare la pettorina gialla e spazzare le strade nell'ennesimo spot elettorale. Come se il suo partito con lo sfascio di Roma non avesse nulla a che fare.

In mezzo i cittadini, certo non incolpevoli di tanto sudiciume. Nella capitale una vera raccolta differenziata è ancora sconosciuta, come si evince da una semplice sosta di dieci minuti in area cassonetto. E troppi si sentono in diritto di liberarsi per strada di un rifiuto ingombrante, frigorifero compreso. Quanto all'Ama, l'immensa municipalizzata dei rifiuti, è stata spolpata da partiti, sindacati e corruttori. Da grande bellezza a grande discarica, non ci sono innocenti nel degrado capitale: almeno i partiti ci risparmino il loro indecente rimpallo delle colpe.