Questo è un articolo su richiesta. Discende da alcune conversazioni con madri di femmine. Sono costantemente preoccupate, le madri di bambine in questo secolo. Se le vestono di rosa, le piccine non diventeranno abbastanza volitive; se ricevono il Dolceforno, ne trarranno il messaggio «Il tuo posto è in cucina»; se la mamma non sta abbastanza con loro, si sentiranno abbandonate e precipiteranno in qualche gorgo (droga, anoressia: vale tutto, purché sia spaventevole), ma se la mamma è sempre a casa non avranno un esempio su cui modellare le proprie ambizioni.

Sono qui per rassicurarle: cresceranno a casaccio e non ci si può fare niente. Un'amica mi fa notare che messa così non è molto rasserenante, quindi procedo a elaborare il concetto. Mia madre non ha mai lavorato un giorno in vita sua, il suo unico scopo nella vita è sempre stato spendere soldi altrui, ha iniziato a dirmi di trovarmi marito che ero ancora alle elementari (giuro: non sapete l'imbarazzo quando gli amici ricchi smisero d'invitarci in piscina perché capirono che mia madre intendeva accoppiare il loro erede novenne con la sua figliola – oltretutto pessima nuotatrice). Le mie amiche, più o meno tutte, raccontano infanzie in cui i genitori si raccomandavano che studiassero, che avessero una carriera, che fossero indipendenti. Io al liceo sono stata bocciata non so più quante volte e nessuno mi ha mai detto «Studia, asina»: a casa mia erano così mitomani che dicevano senza mettersi a ridere: «I professori sono spaventati dalla tua intelligenza» (ero così intelligente che preferivo guardare Quando si ama che aprire un libro).

Tuttavia, io lavoro da quando avevo 22 anni e le mie amiche hanno perlopiù fatto le universitarie fuori corso fin dopo i 30; loro non sono state tranquille finché non sono riuscite a mettersi un vestito bianco e un anello al dito, e io ho del matrimonio l'idea che aveva Alberto Sordi («Mettersi un'estranea in casa»); loro si fanno allegramente pagare mutui e vacanze da genitori e suoceri e io pur di essere indipendente rinuncerei alle vacanze a vita. Certo, non ci vogliono degli specialisti viennesi per dire che mica significa che la mia formazione non m'abbia influenzata: mi sono formata in opposizione a quel che ho visto da piccola. Però, se può funzionare sia per emulazione sia per contrasto, capite bene che vale tutto, e tanto vale rilassarsi.

Su una sola cosa mi sentirei di dire che la mia infanzia è stata deleteria, e una sola imposizione pedagogica mi sentirei di suggerire. La fa riassumere, meglio di come saprei fare io, Martin Amis, a un personaggio d'un suo romanzo: «Uh, come vorrei che mi avessero insegnato la disciplina: quand'ero giovane, quando le cose le impari senza neanche provarci. Avrebbero potuto insegnarmi l'orgoglio, la dignità, e già che c'erano pure il francese. Senza che mi sforzassi. Ma tutta quella roba non me l'ha insegnata nessuno. Mi sono dovuto sbattere a insegnarmela da solo. Me ne sto lì a provare a insegnarmi la disciplina, ma proprio non ce la faccio (non è mica divertente, la disciplina), e finisco sempre per optare invece per uscire a divertirmi». Quelli che mi hanno conosciuta da grande non lo sanno, che fatica è stata diventare una secchiona. Lodate le vostre figlie di meno, e fate far loro i compiti delle vacanze di più.