Il presidente turco Erdogan, un mezzo dittatore, i giornalisti li fa arrestare e i giornali di opposizione occupare e chiudere dalla polizia. Donald Trump accusa la Cnn di spacciare fake news, notizie false. E tenta ogni giorno di imporre al sistema dei media la sua personale agenda attraverso il profilo Twitter. Da noi, l'attacco ai mezzi di informazione è un vecchio vizio dei politici. Dall'editto bulgaro di Berlusconi – il più grave perché portò alla chiusura di programmi tv e alla censura di giornalisti e artisti critici col Cavaliere – all'insofferenza di Renzi nei confronti dei talk show accusati di «gufare» contro l'Italia, è tutto un tentativo di plasmare l'informazione per ottenere una narrazione complice e sottomessa.

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L'ultimo goffo tentativo di processare la stampa è dei Cinquestelle: è loro una lista di giornalisti, elencati per nome e cognome, accusati di aver scritto falsità sulle inchieste giudiziarie che coinvolgono il sindaco Virginia Raggi. Cosa c'è che non va, vi chiederete forse voi. Se uno scrive bugie, è giusto che ne risponda. È proprio questo il punto. Chi diffama è bene che sia querelato a norma del codice penale o gli venga chiesto un risarcimento ai sensi del codice civile. Oppure una rettifica a norma della legge sulla stampa. Ma stilare nomi e cognomi su una sorta di «colonna infame» non risponde a queste finalità. Serve a intimidire i cronisti e additarli alla rabbia del popolo dei social, versando le loro generalità nel pentolone fumante degli «odiatori» di Facebook.

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Virginia Raggi.

Quelli che pensano che il giornalismo spacci bufale per conto dei potenti e che la verità cresca abbondante e spontanea sul Web senza bisogno di competenze né mediazioni. I giornalisti non sono tutti bravi e onesti. Ma quando gli attacchi arrivano dai politici c'è quasi sempre puzza di bruciato. Soprattutto oggi che l'attacco all'informazione è diventato uno scontato ritornello demagogico, la versione neopopulista di una vecchia imprecazione: piove, cronista ladro.