La comunicazione nell'era in cui chiunque ha uno smartphone e alcuni giga da ammortizzare funziona così: che guardi distrattamente la tv mentre scrivi su Facebook un pensierino che un tempo avresti avuto il pudore di condividere sì e no con familiari e amici; e invece ora, sempre con la formulazione frettolosa e imprudente che useresti parlandone sul tuo divano, lo esponi al mondo. La comunicazione nell'era in cui tutti sono portatori d'opinione su tutto – specie su temi di cui non sanno niente: tv, moda, astrofisica – funziona così: che tu vai in tv e tutti hanno un'opinione su cosa dici e cos'avresti invece dovuto dire, cosa indossi e cos'avresti invece dovuto indossare, e i giornali – quelle entità che una volta servivano a dare la loro opinione a chi non ne capiva, e perciò ragionavano e se ne facevano una – il giorno dopo mica spiegheranno chi abbia sbagliato più forte, macché: titoleranno Bufera sui social.

Riassunto della «bufera», come la chiamerebbero gli amanti delle sciatterie linguistiche: Diletta Leotta (conduttrice di Sky belloccia; si occupa di calcio quindi io a stento sapevo esistesse; qualche mese fa le hanno hackerato il telefono diffondendo delle foto nude che si era probabilmente fatta per un fidanzato, come tutte noi, ma lei aveva probabilmente dovuto ritoccarle meno pesantemente delle nostre) va a Sanremo. Ci va per dire due parole contro il bullismo, per mettersi un bel vestito, perché ha 25 anni e vuol fare la televisione, perché sì. Ha un vestito con uno spacco. È un vestito di broccato, e non è un piccolo particolare. I cinque minuti della ragazza su quel palco oscurano tutta la prima serata, giacché una serie di signore dalle occupazioni più varie – dall'anziana giornalista musicale alla spigliata conduttrice pomeridiana –ritengono di esprimere su Twitter la propria disapprovazione per Diletta che, ci spiegano, non ha il contegno appropriato.

C'è una sola cosa che piaccia ai titolisti pigri più di Bufera sui social, ed è: Eva contro Eva. Il giorno dopo la rissa tra femmine è una notizia. In conferenza stampa chiedono ben tre volte alla De Filippi del vestito (una delle tre domandatrici è una delle twittatrici, in cerca d'approvazione), finché Nostra Signora del Tagliar Corto sbotta: ma siete scemi, che mi venite a dire nel 2017 che per parlare di temi importanti una si debba vestire da suora (sto parafrasando, ma sono certa che se non fosse beneducata avrebbe detto proprio «ma siete scemi»). A quel punto alcune delle twittatrici si scusano (il lato da cui si schiera la De Filippi è quello dal quale è prudente stare), alcune insistono. Ed è qui che la cosa si fa interessante.

A leggere il dibattito sui social, la questione è: la Leotta si apriva lo spacco con le mani per far vedere meglio le cosce. A vedere il filmato, anche a non essere particolarmente esperte di tessuti, si nota: è broccato; è pesante; non si sposta se ci appoggi le dita perché sei a Sanremo, sei agitata, e non sai dove mettere le mani. L'ampiezza dello spacco non cambia mai, durante tutto l'intervento. Sono pochi minuti. Ma nessuno li vede, di quelli che li guardano e ne parlano come si trattasse dell'accavallo di Basic instinct. La comunicazione nell'era in cui guardi senza vedere, perché stai già pensando che ti urge dir la tua, funziona così.