Caro Barack, sono passati 8 anni da quando tutto è iniziato e sembra ieri. È proprio vero che le cose belle volano e non si è mai pronti alla fine. Era il 20 gennaio del 2009 il giorno in cui per la prima volta mettesti piede alla Casa Bianca, avevi 47 anni ed eri il primo afroamericano mai eletto nella storia della democrazia americana, dopo 44 presidenti di conclamato fototipo caucasico, tutti maschi. Bastava questo a renderti unico, ma non ti sei accontentato. Con te portavi una giovane moglie acchiappaconsensi, Michelle, con un'innata vocazione per i colori sgargianti e doti spiccate da first lady "operaia", e due bambine, Malia e Sasha, di 11 e 8 anni, carine senza essere smorfiose e zero spocchia da cocche di papà. Eravate belli, eravate innamorati, eravate l'incarnazione dell'American dream.
Una coppia elegante e amabile come i Kennedy
Mai prima d'ora avevamo visto una coppia venuta dal basso – tra gioventù scapigliata su e giù tra Giacarta e Honolulu e i saldi principi della black middle class di Chicago – salire così in alto nella scala delle umane ambizioni, senza saltare nessun gradino, guadagnandosi ogni cosa con lo studio e il sacrificio – le lauree nelle prestigiose università dell'Ivy League, l'impegno comune per i diritti civili, la lenta e inarrestabile ascesa politica nell'Illinois – e mostrare, poi, una volta arrivati, una tale invidiabile disinvoltura nelle stanze del potere. Come foste da sempre abituati ai marmi e ai broccati e alla servitù. Come se l'understatement fosse un segno sincero di umiltà, non una posa radical chic, come nelle ricche dinastie di tradizione liberale. Eravate eleganti e amabili come i Kennedy, ma non eravate i Kennedy. Eravate meglio. Perché non conoscevate i privilegi della casta che da sempre ha tutto, per diritto di nascita. Perché eravate persone normali. Ma con in più l'allure dei divi di Hollywood.
Un presidente: nero, giovane e anche fico
Essere nero e giovane e corredato dello slogan più azzeccato mai scovato nella storia delle presidenziali americane e di qualsivoglia elezione passata e futura – quello Yes we can che ha infiammato le folle e il merchandising, superando in abuso e celebrità persino gli aforismi di Oscar Wilde e gli apostrofi rosa dei Baci Perugina – poteva bastare. E invece eri anche bello. Anzi sexy. Anzi, fico. Che dentro include tutto: sexytudine, charme, eleganza, autorevolezza, talento, ironia, persino rettitudine, una dote che negli altri è démodé e barbosissima, mentre su di te aveva un'aria così chic. Abbiamo desiderato tutte baciarti, ammettiamolo – se l'hanno desiderato con sfacciata evidenza Carla Bruni e Beyoncé, che di maschi possono averne quanti vogliono, perché non noi, comuni mortali, avvezze ai desideri inevasi? – senza reali intenzioni maliarde. Giacché nessuna ha mai messo in dubbio il tuo amore incondizionato e granitico per Michelle. Era questa inespugnabilità, questa monogamia così fieramente esibita e inscalfibile, insieme rivoluzionaria e fuori moda, a farti salire sul podio più alto dei nostri sogni proibiti. Abituate agli uomini incostanti e fallaci della vita reale, ai tanti politici di così modesto spessore morale ed estetico, cosa potevamo volere di più?
Come faremo i prossimi 4 anni?
C'è chi ti rimpiangerà per l'Obamacare, chi per l'apertura e la lungimiranza in tema di ambiente, unioni civili, difesa delle minoranze e dialogo tra i popoli, io ti rimpiangerò soprattutto per le foto. Mai presidente fu più generoso nel resoconto fotoromanzato del proprio mandato, mai nessuno più a prova di selfie senza bisogno di Photoshop. Il quesito con te non era «Quale foto mettiamo?», ma «Quale non mettiamo?»: impossibile scegliere quando si è "sospirabile" in tutte. Professionalmente parlando è un problema. Umanamente una tragedia. Come sopperire a tale mancanza? I prossimi quattro anni ce la sfangheremo con l'amara soap opera trumpiana, fotogenica a suo modo, soprattutto per le amanti di Ridge. Poi punteremo su Michelle. Perché ha la stoffa del leader. E non è mai stata gelosa.