Dovevamo aspettarcelo che andasse così. Era un anno bisestile. Rognoso quindi. Poco promettente. E infatti, a riguardarlo ora, siamo contenti che sia finito questo 2016. Tanto per cominciare è morto David Bowie. Uno che abbiamo sempre pensato immortale, con quei look di carta stagnola e gli occhi cangianti da creatura aliena. E con lui se ne sono andati in tanti che hanno segnato o riscritto la storia, nei campi più disparati, che ci piacessero o no: Fidel Castro, Dario Fo, Prince, Umberto Eco, Leonard Cohen, Marco Pannella, Sonia Rykiel, Harper Lee, Umberto Veronesi, Paolo Poli,Gene Wilder, Ettore Scola, André Courrèges e pure Bud Spencer. Troppi per non sentirci un po' orfani e sperduti, incapaci di gestire i buchi lasciati dalla loro assenza, grandi come crateri. Non basterà una colata d'asfalto per riempirli. Non basteranno altri cent'anni a rimpiazzarli.

E poi ci sono le vittime senza nome della guerra e del terrorismo

Di loro almeno manterremo il ricordo. Altri saranno solo numeri legati a una data. Secondo l'Unhcr, l'alto commissariato Onu per i rifugiati, il 2016 è stato l'anno in cui sono morti più migranti in mare: 3.800. Una cifra enorme. Cui si aggiungono le vittime senza nome della guerra in Siria e tutte quelle degli attentati jihadisti in ogni angolo del mondo.

Di alcune ci resta solo la memoria sbiadita di una foto sorridente pubblicata sul giornale, dei fiori e delle candele lasciati accanto ai luoghi della strage.

I bambini e le famiglie travolti da un camion nella Promenade des Anglais in una notte di festa a Nizza (14 luglio); gli avventori di una caffetteria in un centro commerciale a Giacarta (14 gennaio); l'anziano sacerdote sgozzato in una chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray (26 luglio); i 22 civili che pranzavano nel quartiere diplomatico di Dacca (1 luglio); i turisti in partenza dall'aeroporto di Istanbul (18 marzo); gli ignari cittadini che alle 8 di mattina sono esplosi all'aeroporto e alla metropolitana di Maalbeek a Bruxelles (22 marzo); i caduti dei recenti attentati a Istanbul (per mano degli estremisti curdi), e al Cairo. Più tutti quelli che hanno perso la vita a nostra insaputa per mano della furia terrorista in Iraq, Afghanistan, Nigeria

Il 2017 è ancora tutto da fare, facciamolo bellopinterest
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Terremotati, rifugiati, ragazze e ragazzi: gli auguri più affettuosi sono per loro

La paura è stata la grande protagonista del 2016. I muri, minacciati o alzati, l'antidoto sventolato per sedarla. Non per curarla. La pancia ha prevalso sulla testa. La voglia di rivalsa sul dialogo. Ciò che sembrava certo o scontato è stato spazzato via dall'impensabile. L'Inghilterra è uscita dall'Unione Europea, Hillary Clinton ha perso un'elezione che sembrava in tasca, consegnando il Paese a un dilettante miliardario che ha intercettato i bisogni del popolo. È finita l'era delle élite, dicono, dei poteri forti. La gente chiede ascolto e trasparenza. Ma per ora ha avuto solo populismo, un vento forte che soffia da una parte all'altra dell'oceano. Buono per distruggere l'ordine costituito, non abbastanza per proporne uno nuovo. Avrei voluto lasciarvi con un editoriale allegro alla fine dell'anno.

Ma è proprio nei giorni in cui si dovrebbe essere felici che è più stridente il confronto con chi felice non è.

Le famiglie che hanno perso la casa in centro Italia per il terremoto, i 176.000 rifugiati accolti nel nostro Paese, i ragazzi e le ragazze che non hanno diritto al futuro. Gli auguri più affettuosi li dedico a loro. Il 2017 è ancora tutto da fare. Facciamolo bello.