Da quando Laura Boldrini è presidente della Camera –un ruolo che, va ricordato a quanti rivendicano il diritto d'esprimere vivace disaccordo col suo "programma politico", è di tipo istituzionale – non è passato giorno senza che le venissero indirizzati, in orribile crescendo, i più vomitevoli insulti personali: soprattutto, ma non solo, sui social network. Minacce d'impensabile violenza, improperi da voltastomaco, dettagliate descrizioni di fantasie criminali e malate, spia d'un sessismo feroce e diffuso cui s'aggiunge il razzismo (che è un'aggravante, e non una parziale giustificazione), visto che alla presidente viene imputato soprattutto un eccesso d'empatia nei confronti di profughi e migranti.

In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, Laura Boldrini ha reso pubblici alcuni di quei messaggi e i nomi dei loro autori. E ha fatto bene, perché una società decente non può rimuovere dal suo orizzonte il principio di responsabilità. Ma non basta. Perché se il trattamento riservato alla nostra presidente della Camera va ben oltre il sopportabile (e le opinioni politiche, davvero, non c'entrano), tutta quella spaventosa violenza era lì, da anni, sotto i nostri occhi. La domanda è imbarazzante, ma tocca farsela: come abbiamo potuto sopportarla?