Aiutiamoli a casa loro è una frase molto usata in politica per liquidare la questione migranti senza passare per menefreghisti. Nessuno però si è preso mai la briga di spiegare né come né quando né con quali mezzi né con quali programmi. Aiutiamoli e basta. Che è un po’ come dire: “Vediamoci presto” sapendo che poi, stretta la mano, si gira l’angolo e tanti saluti. Si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso, letteralmente.

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Poi un giorno un signore che di mestiere non fa il politico ma il filantropo, dice una cosa che sembra scontata, come tutte le cose di buon senso, e invece non lo è, ma nessuno fino ad ora l’aveva mai detta con tanta schiacciante semplicità: per fermare i migranti bisogna portare l’istruzione in Africa. Cioè non chiudiamo le frontiere, non ricacciamo i profughi nei centri libici, non lasciamoli al loro destino, insomma non guariamo il raffreddore con lo spray nasale, ma troviamo una cura vera per questa malattia.

Il suddetto filantropo è Bill Gates, che dopo aver fondato la Microsoft e scalato tutte le classifiche dei ricchi più ricchi del mondo da Forbes in giù, ha mollato tutto e ha dato vita a un’organizzazione umanitaria che si occupa di debellare Aids e altre malattie nel terzo mondo. Dice Bill che a causare le migrazioni è l’instabilità, e questo già lo sapevamo. La gente scappa da dove non sta bene. Un esempio emblematico è la Siria, che prima della guerra civile era un Paese pacifico e tranquillo, e oggi invece una delle principali fonti di flussi migratori.

Il problema è che se non troviamo al più presto una soluzione, invece di perdere tempo a insultarci via Twitter e a far vedere chi ce l’ha più lungo (il credito), la situazione diventa esplosiva. Non è allarmismo, è politica demografica. Al momento il 14 per cento della popolazione mondiale vive in Africa – cito sempre il signor Gates, che mi sembra un tipo preparato – entro la fine del secolo le nascite saliranno dal 24 al 50 per cento, riducendo ulteriormente le risorse e andando ad alimentare quella massa di poveri che cerca la salvezza sulle nostre coste.

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Quindi, che si fa? S’investe sul capitale umano. Salute, alimentazione, istruzione sono le tre parole magiche che possono restituire futuro e dignità a chi ha avuto la sfortuna di nascere nella parte sbagliata del pianeta. Ma dal momento che la sfortuna è un concetto che non piace a chi è abituato a costruirsi il destino da sé – il solito Mr. Gates – bisogna anche lavorare affinché le cose cambino e l’Africa non resti per sempre il continente disgraziato che è. Partendo dai dati del Goalkeepers data report, il rapporto che tutti gli anni la sua fondazione fa in vista dell’Assemblea generale dell’Onu per valutare i risultati raggiunti e i traguardi ancora da conquistare, Bill propone come soluzione la transizione verso una società che abbia una forte classe media. Obiettivo non banale in un Paese in cui la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà e i pochi ricchi badano solo ai propri interessi. Ma è qui che devono entrare in gioco i nostri aiuti. Non distribuendo uova ma galline, cioè strumenti che diano ai potenziali migranti il modo di creare benessere e stabilità “a casa loro”.

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Se c’è stabilità la gente resta o, se parte, lo fa per migliorare la propria condizioni seguendo le vie legali. È la scoperta dell’acqua calda. L’Occidente però fa finta di non saperlo, perché questo obiettivo richiede tempo e denaro, e un programma a lungo raggio, che resista alle persone e ai governi che cambiano. Ma soprattutto un desiderio reale di battere le disuguaglianze che causano da sempre i grandi esodi. Una cosa che non si risolve solo mandando tweet.

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! dal 1º Novembre dirigerà Elle settimanale.

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