Ormai in America c’è una polemica al giorno sul sessismo, una parola che ormai sembra più un tic che un’istanza sociale. La penultima è nel settore comici. Il più bravo, Louis CK , non lavora da un anno: da quando cinque donne hanno raccontato al New York Times che era solito chiedere «Ti spiace se mi masturbo?» con la disinvoltura che si usa di solito per «Vuoi un caffè?». Nel giro di poche ore, Louis CK – il cui giro d’affari l’anno precedente era stato stimato in una cinquantina di milioni di dollari – era quello con cui nessuno voleva più avere a che fare: il suo film non è più stato distribuito, lo special che doveva andare su Netflix è stato revocato, eccetera.

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Roy Rochlin//Getty Images
Louis CK.

La settimana scorsa Norm Macdonald, comico minore con un programma in partenza su Netflix, dà un’intervista in cui dice di CK che sì, per carità, il trauma delle vittime: ma pure vedersi azzerare la carriera nel giro d’una sera non è che sia poco traumatico. Apriti indignazione: lo disinvitano dai programmi nei quali era previsto come ospite, gli tocca scusarsi e smentirsi. Ma non basta: questo anno di finta rivoluzione dei costumi ci ha insegnato che i polemisti con uso di wifi non sanno che farsene delle scuse; mica vogliono ragionevolezza: vogliono lo spettacolo d’arte varia d’un nuovo colpevole da azzannare ogni giorno.

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Michael S. Schwartz//Getty Images
Norm Macdonald.

Kathy Griffin è una comica scarsa che l’anno scorso fu messa in castigo perché si era messa in posa con una testa decapitata di Trump. Il suo esilio dalle scene è finito ben più rapidamente che se avesse fatto una battuta su un palpeggiamento in autobus: in questo periodo storico, le uniche lesioni al buon gusto che contano sono quelle che riguardano la sfera sessuale; il vilipendio d’un capo di Stato è roba minore. Tornata a lavorare, Griffin, con un meccanismo psicologico che negli ultimi mesi abbiamo visto incarnato in diverse figure pubbliche, non è stata zitta e grata che tutti avessero dimenticato le sue malefatte; anzi, s’è messa a strillare fortissimo a ogni presunta malefatta altrui. L’ultima, quella di Macdonald.

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Usando il meccanismo ormai usurato solo-perché-sono-donna, Griffin ha scritto su Twitter che, se quel sessista di Macdonald ha un programma su Netflix e lei no, è solo perché lei tempo fa ha fatto notare che su Netflix di comica donna ce n’è al massimo una, per salvare le apparenze. Un po’ come Serena Williams, che dicendo solo-perché-sono-donna contava sulla nostra smemoratezza rispetto alle squalifiche di McEnroe, Griffin contava che nessuno fosse abbonato a Netflix. Dove, se vuoi vedere monologhi comici di donne, puoi passarci la giornata.

The Build Series Presents Kathy Griffin Discussing Her New Book "Kathy Griffin's Celebrity Run-Ins"pinterest
Daniel Zuchnik//Getty Images
Kathy Griffin.

Da Ali Wong e Iliza Shlesinger, che fanno (benissimo) monologhi sulle single o sulla maternità che sembrano scritti negli anni 90; a Tig Notaro, che è scarsissima e dovrebbe ringraziare a vita Louis CK che la lanciò (e invece lo odia: la gratitudine è una brutta fatica); a Hannah Gadsby, che racconta la storia della sua identità di lesbica, ed è assai più dolente che spiritosa – il che ha aperto il dibattito «La comicità deve far ridere?» (se pensate che i dibattiti sui giornali italiani siano scemi, non sapete quelli americani). La scomoda (per Griffin) verità è che la comicità non è più un settore ostico per le donne, che hanno realizzato la più importante parità: quella di poter essere scarse nel loro lavoro.