Settembre. Si ricomincia. Siamo pronti? No. Io non lo sono mai. E non tanto perché si torna ai doveri di sempre – il lavoro, la scuola, la dieta detox, l’orrido tapis roulant e la luce cruda degli ambienti chiusi – ma perché l’accelerazione è troppo violenta. Si passa dal tempo indolente e scialacquone della modalità vacanziera, tra abluzioni marine e aperitivi slow, alle giornate contratte e costipate del rientro, ridotte a niente, come un golfino d’angora buttato in lavatrice con il programma sbagliato. Infatti a settembre non mi entra più, il tempo. Lui troppo stretto, io troppo ingorda di cose da fare per illudermi di entrarci dentro senza essere in sofferenza: la pancia in dentro, il respiro sospeso, la zip che morde un lembo di ciccia mentre tenta di chiudersi. Un record d’apnea che toglie il fiato, per infilare in 24 ore il quotidiano binge eating di impegni in cui ogni giorno vale per tre.
 


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È questo, credo, che ci annienta nell’immancabile shock da rientro che sempre ci coglie a fine estate: costringersi in una taglia 38 vestendo in realtà una 46. Passare dal comodo caftano da spiaggia allo sciccoso tubino shape, più che un passaggio di stile e stagione è una metafora della "vita moderna". Almeno per come la conosco io. Un’alternarsi di performance estreme e anelito alla fuga, di adeguamento agli standard del lavoro smart e sbraco anarchico hasta la victoria.
 


Bisognerebbe vivere in un eterno fine agosto. In quello spicchio dorato di agio e prodigio che è il cuscinetto tra l’ultimo giorno di vacanza e la totale ripopolazione della metropoli chiusa per ferie. Settimana di grandi affari nei negozi che buttano "fuori tutto" per lo sbaracco da cambio stagione, favolosi happy hour con amici dismessi per mancanza di tempo disponibile, strisce gialle e blu incontaminate sotto casa, orari civili in ufficio. Si fa tutto, ma con calma. Si lavora di buona lena senza il richiamo continuo delle mail in arrivo e il petulante cicaleccio di WhatsApp, si va al cinema, si cena fuori, ci si riscopre romantici e innamorati in quello spazio umano e confortevole che è il tempo "a misura d’uomo". Tempo intatto e puro. Immacolato come la neve, piatto e cristallino come il mare di primo mattino, prima che schiume di motori e urine di bagnanti e sabbia smossa da tonfi e bracciate vadano a imbrattarne l’immobile perfezione. Tempo per sé. Intero. Non sbranato da straordinari dell’ultimo minuto, corse al super prima che chiuda, parcheggi che non si trovano, compiti da fare dopo cena e l’infinita litania di ladri di tempo con cui combattiamo nel quotidiano tran tran. 
 


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Invece di andare a 100 all’ora, anzi 300, dopo due o più settimane di motore spento, bisognerebbe imparare a tenere un’andatura piana e costante tutto l’anno. Decelerare per godersi lo spettacolo intorno, che poi è la vita: i figli che crescono, gli amici che chiamano, i compagni che pigramente allungano una mano sul divano, le piante che fioriscono sul davanzale, la vicina che ha voglia di parlare, lo sconosciuto in metro che ci presta un sorriso senza impegno. Quante cose non vediamo in quel tempo forsennatoe infeltrito che indossiamo in autunno. «Volevo ritrovare il giusto equilibrio tra il lavoro e la vita. Se ti faccio lavorare troppo, ti rubo l’anima»: così ci ha detto Brunello Cucinelli, parlando della sua azienda a Solomeo, dove alle cinque e mezza si esce e nessuno timbra il cartellino. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo nuovo disegno visionario, il Progetto della bellezza, uno straordinario lavoro di riqualificazione del territorio sotto la collina di Solomeo, in Umbria, dove sorge il suo quartier generale. «Voglio provare ad alleviare un po’ della durezza della vita», ha aggiunto, riferendosi al cielo e alle rondini che la vita d’ufficio ci costringe a ignorare. Se si abita nel cuore verde d’Italia forse l’operazione è più facile. Ma anche a Rubattino c’è il cielo. Basta solo ricordarsi di guardarlo, ogni tanto. Buon rientro a tutti.

Scrivete a Maria Elena Viola, direttore di Gioia!: direttoregioia@hearst.it