Chiunque li frequenti sa che i social sono una continua delusione. Gente che non coglie le battute, si offende a nome dell’universo, non capisce quel che legge. Ogni tanto, però, c’è un’eccezione. È successo, nel corso di quest’agosto 2018, quando una senatrice ha detto che ci agitiamo troppo per i vaccini, ai tempi suoi ci portavano a casa dei cuginetti malati, prendevamo il morbillo anche noi e il problema era risolto.

Siccome i tempi suoi erano anche i miei, ho scritto su Twitter che certo, se è per quello mio padre, nel tragitto dalla strada al garage, mi prendeva in braccio: con le mani sul volante, potevo illudermi di stare facendo manovra, anche se neppure sapevo ancora andare in bici. Altro che cinture, seggiolini, precauzioni: sedute davanti, in braccio a chi guida. Oggi lo arresterebbero, allora era normale.

Volante autopinterest
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A parte una fisiologica percentuale di gente in cerca della propria dose quotidiana d’indignazione, e che quindi mi ha accusato di fare campagna contro i vaccini e a favore del delitto d’onore e delle nozze riparatrici (e perché non contro l’acqua corrente e a favore della peste bubbonica, già che ci siamo), il gioco è stato subito chiaro a tutti. Un amico ha ricordato quanto fumasse, in classe, il suo maestro elementare. Sembra un’altra epoca, adesso che non si fuma neanche nei ristoranti, ma mio padre sbuffava moltissimo quando, nei lunghi viaggi in macchina verso il mare, gli chiedevo di aprire il finestrino perché mi dava fastidio la puzza di fumo. Altra ragione per cui oggi sarebbe in galera, ma allora era normale: gli adulti fumavano, i bambini erano pregati di non rompere i coglioni con le loro fisime. I viaggi verso il mare, già: qualcuno ha rievocato i propri, verso Rimini, partendo all’alba, dormendo sdraiati sul sedile posteriore. Ed è subito sembrato un programma di Carlo Conti: ma quindi abbiamo tutti gli stessi ricordi, e siamo tutti sopravvissuti a condizioni di totale insicurezza stradale, altro che seggiolini (e dormivamo ovunque, altro che benzodiazepine: io per terra nel corridoio del treno che ci portava dalla nonna).

Abbronzatura protezionepinterest
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Poi qualcuno ha evocato il botulino, in quelle belle conserve della nonna fatte in casa senza uno straccio di norma igienica. Già, anni e anni dei pomodori pelati «quelli buoni e genuini», fatti da nonna e zia, barattoli preparati nella cucina in cui facevo i compiti; anni e anni che le mamme sterilizzatrici di oggi hanno probabilmente rimosso dalla memoria come traumatici. Un commentatore che m’ha fatto particolarmente ridere ha raccontato di quando, bambino, saliva in piedi sui sedili della Cinquecento col tettuccio apribile e stava con la testa fuori durante il tragitto, concludendo «Ora metto la cintura anche al trasportino del gatto». Un’altra ha rievocato le ustioni quando non si usava la protezione solare, ricordandomi i tempi in cui, santo cielo, in spiaggia si usava l’olio abbronzante: per moltiplicare i raggi di sole, altro che proteggersene. Negli anni 80 andavamo in moto a Riccione, da Bologna, il sabato sera; passavamo la notte in discoteca, e la domenica in spiaggia con degli unguenti che ci facessero abbronzare in fretta e furia. Adesso urlo «Vai piano» se sono in macchina con qualcuno che supera i 50 chilometri orari, e metto la protezione totale anche per andare a comprare il latte.