Tra tutte le cose che mi piace fare, una più di tutte mi fa stare così bene da cambiarmi l’umore: il cinema. Andare al cinema mi rende felice. Nei tempi spensierati e randagi della prefigliolanza, ci andavo anche più volte a settimana col mio compagno di ventura, che in quanto a celluloide è più fissato di me. Ci guardavamo tutto, dai blockbuster ai polpettoni, traendone immenso godimento, oltre che discussioni che a volte duravano per giorni, non essendo ancora angustiati dalle questioni aride e prosaiche dell’età adulta, dall’Ici all’Imu passando per la tassa dei rifiuti.

Erano anche anni quelli, in cui essendo pieni di fame e di follia, si passava la notte a guardare Fuori orario, un programma per cinefili insonni che iniziava dopo mezzanotte su RaiTre, con una sigla che graffiava il silenzio: Because the night di Patti Smith, sulle immagini in bianco e nero de L’Atalante di Jean Vigo. Prima della proiezione un tizio in t-shirt e capelli arruffati, Enrico Ghezzi, critico esimio che usava espressioni tipo «simulacro post-vivente», spiegava genesi, trama e aneddotica di ciò che ci si apprestava a guardare. Immaginate il dibattito post cineforum della Corazzata Potëmkin, ma in forma di monologo, fuori sinc. Dunque il film iniziava dopo l’una. Raramente era italiano, raramente tradotto, quasi mai con sottotitoli leggibili, anche per via dell’ora tarda e delle palpebre a fessura. La cinefilia è roba per stomaci forti. Per restare svegli ci si accrocchiava su sedie scomodissime, facendo finta che fossero divani, ignari che un giorno tutto quel contorsionismo l’avremmo pagato con pellegrinaggi da fisioterapisti e osteopati senza trarne alcun beneficio.

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Steve Bonini//Getty Images

Oggi che ho un divano confortevolissimo e figlie semi-autonome, sogno di tornare alle performance giovanili, ma ormai mi manca il fisico. Ogni giorno, finita la cena a orari spagnoli, domando ansiosa a mio marito, depositario di hard disk mitologici, «Cosa vediamo stasera?» e puntualmente crollo ai titoli di testa. Il cinema in seconda serata è diventato un tabù. Persino al primo spettacolo evito le sale con poltrone troppo comode per non rischiare di russare. La mia stanchezza è atavica e pervicace. Eppure ancora tutte le volte che riesco a godermi un film in santa pace, sveglia, mi sento come Trudie Styler dopo sette ore di sesso tantrico con Sting. Una meraviglia.

Ecco perché la saudade tipica del fine vacanze per me è sempre addolcita dall’appuntamento clou dell’estate: la Biennale cinema di Venezia. Amo l’idea di poter vedere film dalla mattina alla sera (non solo a fine giornata, sfranta), senza sensi di colpa. Commentandoli a caldo con gente che non sente il bisogno di sgranocchiare popcorn e rispondere in tempo reale ai messaggi che vibrano su WhatsApp. Spizzicando generi e stili diversi. Scoprendo nuovi autori. Riemergendo dal buio con il cuore che batte o i lucciconi, felice di essermi data in pasto alle emozioni senza ritegno alcuno. Poi, certo, ci sono i registi e le star. Che al Lido, talvolta, s’incontrano per strada, nascoste dietro un paio di occhiali scuri.

Bradley Cooper e Lady Gaga in una scena del film A star is born.pinterest
Courtesy of Warner Bros. Pictures
Bradley Cooper e Lady Gaga in una scena del film È nata una stella.

La mia mission quest’anno è Bradley Cooper, regista e interprete con Lady Gaga del remake di A star is born, che sogno d’incrociare un giorno all’alba solo per dirgli di non tagliarsi più barba e capelli. Di lui e di tutta la kermesse parliamo nel numero di Gioia! in edicola dal 30 agosto 2018 con uno Speciale Venezia. Un’edizione straordinaria, la 75esima, per quantità di film e celeb, ma con presenza femminile scarsa. Peccato. Perché, senza le donne, il cinema non sarebbe ciò che è: passione e poesia. Idea che ho confermato visionando in anteprima, in qualità di giurata, i film di sette registe in gara per le Giornate degli autori. A una di loro, Gioia! e le altre testate del gruppo Hearst il 7 settembre 2018 conferiranno un premio. Perché non basta dire alle donne che sono brave, e poi tenerle fuori. Bisogna anche metterle in gara e riconoscere concretamente i loro meriti. E non vale solo per il cinema. Ma questo è un altro film.

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Neal Preston
Lady Gaga in una scena del film È nata una stella.

Scrivete a Maria Elena Viola, direttore di Gioia!: direttoregioia@hearst.it