I miei anni 80 furono scanditi dai passaggi televisivi di Mammina cara, il film dell’81 tratto dal memoir in cui la figlia di Joan Crawford raccontava la mostruosità di sua madre. La scena in cui la picchiava con le grucce del lavasecco, quella in cui si lavava la faccia col ghiaccio: di tutto quel pacchetto che nei decenni sarebbe rimasto un culto, da bambina subivo il fascino in modo impreciso; riuscivo a mettere a fuoco un solo elemento: mia madre si arrabbiava moltissimo quando volevo rivederlo. Nella sua megalomania, lo prendeva per un messaggio a lei. Che però non era Joan Crawford: era una madre mediocre, mica mostruosa; il cinema non avrebbe saputo che farsene.

Joan Crawford figliapinterest
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Joan Crawford con la figlia Christina nel 1944.

Questa è stata una pessima annata per il tartufo, ma era dall’81 che non c’era una stagione così fiorente di madri mostruose. Prima c’è stato Tonya, il film sulla pattinatrice Tonya Harding la cui madre fa riconsiderare a tutte noi il giudizio sulle nostre infanzie. La madre di Tonya era così clamorosamente mostruosa che neppure si vergognava della sua mostruosità. A un certo punto diceva una cosa tipo «Vorrei avercela avuta io, una madre come me, invece di una carina: carina non ti serve a un cazzo». (In effetti nessuna famiglia felice ha mai prodotto niente di valido: romanzi, film, o anche solo epica da social media).

Una scena di Tonyapinterest
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Una scena del film Tonya.

Poi Il miracolo, la serie di Niccolò Ammaniti in cui Alba Rohrwacher accudisce amorevolmente per anni la madre malata, e quando quella muore si scopre che ha lasciato tutto a un’associazione animalista. Infine è arrivato Patrick Melrose (su Sky dal 9 luglio 2018), la cui madre fa così schifo che un po’ ti dispiace per l’autore dei romanzi, spietatamente autobiografici (per Christina Crawford non ci dispiaceva mai: forse da piccole eravamo più crudeli). Jennifer Jason Leigh – nel ruolo della ricca americana che ha sposato quel mostro di Melrose e non coglie le disperate richieste d’aiuto del figlio, che la implora di portarla via da quella casa in cui il padre lo stupra – mette in scena la più ributtante madre di tutti i tempi; una che oltretutto, prima di morire, lascia tutti i suoi beni a una qualche setta. Lo guardavo e pensavo: è l’anno in cui la prole televisiva non solo ha genitori mostruosi, ma neppure può consolarsi con l’eredità.

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La serie Patrick Melrose.

Mi chiedevo se fosse più mostruosa la madre inerte di Patrick Melrose, o il padre stupratore. Non per sapere cosa ne pensasse lui, ma per capire cosa pensavo io, sono andata a chiederlo a David Nicholls, che ha adattato i romanzi in cinque puntate televisive. L’ha difesa: «È una vittima, è sposata con un uomo terribile, qualcosa fa pensare ci sia in lei un potenziale affettivo; nel padre no». Più lui la scusava, più io volevo strozzarla; più lui difendeva la complice passiva, più io mi ritrovavo a difendere il carnefice: lui almeno era uno psicopatico, lei solo una che non aveva abbastanza carattere per andarsene di casa. «Ma è una vittima, è un’alcolizzata, è una drogata, e cerca di farsi perdonare fino alla fine, per quello dà via tutti i soldi, è il suo tentativo di emendarsi». È stato solo mentre Nicholls difendeva la signora Melrose che mi sono ricordata di quella riga alla fine del testamento di Joan Crawford: non ho intenzione di lasciare niente ai miei figli Christopher e Christina, per ragioni che loro ben sanno.