Nel 1955 una guida allegata a Housekeeping monthly riassumeva in 10 punti le regole base per essere una brava moglie. Tra i passaggi salienti: terminare di preparare la cena 15 minuti prima dell’arrivo del marito per darsi il tempo di cambiarsi d’abito e passarsi il rossetto; sedare i capricci dei figli affinché al suo arrivo sembrino un comitato di angioletti; accoglierlo con un sorriso e un caldo abbraccio lasciandogli la parola ché i suoi argomenti sono sempre più importanti dei nostri; farlo sentire capito, ascoltato, amato, perché è esattamente questo il compito di una donna. Riletti oggi questi precetti fanno sorridere. A Milano, per esempio, abbiamo scoperto che esiste una scuola che insegna a giovani ebree ortodosse a diventare spose modello. Si frequenta dopo il liceo e raccoglie al momento una cinquantina di ragazze che arrivano da diverse latitudini, accomunate dal desiderio di imparare a tirar su una solida famiglia ebraica, senza per forza rinunciare alla carriera.

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Se vi sembra una cosa strana ed esotica, provate a guardare oltre il vostro quartiere o la vostra città. In Italia ci sono ragazze a cui le mamme preparano il corredo in attesa di vederle “sistemate”; adolescenti che appena si fidanzano chiudono con gli amici e si fanno remissive e servizievoli; trentenni tartassate dai parenti perché sono ancora single e senza figli, quasi che l’unico scopo nella loro vita fosse quello di accoppiarsi e duplicarsi; donne con posizioni di successo perennemente in colpa per la casa in disordine, le lenzuola non stirate, i figli alimentati a würstel e Sofficini, come se la gestione delle cose familiari fosse solo affar loro, e non faccenda da dividere equamente con l’altro membro adulto della casa, col quale si divide già di comune accordo il resto – mutuo, spesa, bollette – giacché si lavora entrambi...

Insomma, le regole di Housekeeping possono pure farci ridere, ma sono dentro di noi. Che in 60 anni abbiamo imparato a prenderle meno alla lettera ma non a sbarazzarcene del tutto. Perché se ben guardate, persino il fronte più avanguardista delle femmine alfa – autonome, high-spending ed emancipate – tende suo malgrado a reiterare i vecchi automatismi delle madri: minimizzare i propri guai ché quelli di lui sono sempre più grandi; abbozzare un sorriso a mo’ di scusa quando si rientra tardi dal lavoro e lui è col broncio in attesa della cena; essergli sempre grata - se cucina, se porta i figli a scuola, se butta il pattume - pensando nell’angolo meno evoluto della propria coscienza che in fondo tutti quei gesti di paritaria umanità non sono doveri condivisi ma pure concessioni alla parte manchevole della propria femminilità, intesa come corredo di mansioni disattese del proprio ruolo di mammifero femmina. E quindi, ha straragione chi dice: «Sei fortunata, ad avere un marito così». Dimenticando che gli uomini non si trovano mai “così” in natura, vanno educati. Meglio se dalle madri, che si risparmia un sacco di fatica.

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Dice il Talmud (tanto per restare in tema): «La donna non è stata creata dai piedi per essere calpestata né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale all’uomo. Un po’ più in basso del braccio per essere protetta, dalla parte del cuore per essere amata». Chissà se è questo che imparano le ragazze nella scuola ebraica. Purtroppo l’amore a volte si esaurisce, e non c’è risarcimento per chi sacrifica i propri sogni per consegnarsi a un uomo mani e piedi. La dipendenza crea fragilità, se si è in cattive mani, sottomissione. L’amore va, viene, ogni tanto si ferma. Come le nuvole di Fabrizio De André. Innamoratevi ogni giorno, ma non rinunciate mai a voi stesse.

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetemi a: direttoregioia@hearst.it