Il mio gatto si chiama Pepe (banale lo so, ma la spezia non c'entra, c'entra Garibaldi, lunga storia…), il mio gatto dicevo si chiama Pepe e nella vita fa il gatto. Cioè miagola, si stira, defeca in una cassetta, dorme negli armadi e mangia crocchette, nella sua ciotola, per terra, non sulla tavola. Non ha velleità antropomorfe. Non è sostituto di un figlio mancato, non è detentore di una poltrona a lui dedicata, non ha diritti di sorta sul letto coniugale, non occupa la parte migliore del divano, non gestisce il telecomando e soprattutto non è mai stato da uno psicologo. È un gatto. Miao.

Il micio dello studio della psicanalista

Per alcuni mesi ho frequentato lo studio di una psicanalista che pretendeva le raccontassi le smagliature del mio inconscio stando affondata in una vecchia poltrona di proprietà del suo enorme micio grigio. Il micio era molto peloso e molto malato. Assisteva ai miei sproloqui accoccolato in un angolo con sguardo torvo, in attesa di riprendere possesso del suo angolo di paradiso. Era imbarazzante. Non a caso ho concluso in 6 mesi un'analisi che nei protocolli junghiani poteva durare anni, riconciliandomi in un baleno col mio Es sperduto e ricucendo alla bell'e meglio traumi d'infanzia che forse non erano mai esistiti. Ero sorpresa di come una dottoressa tanto impenetrabile e brutale (pari livelli di soggezione credo di averli provati solo per la mia prof di greco al liceo), potesse manifestare una tale svenevole dolcezza col suo amico a quattro zampe. Lì ho capito che gli animali sono una cosa seria.

Il gatto e gli altri animali sono esseri viventi intelligenti e sensibili.pinterest
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Sulla tavola imbandita, un'invadente commensale

Cioè non il capriccio di un bambino che chiede con insistenza un cane a mamma e papà perché si è stufato del solito peluche. Non il gingillo ornamentale da portare al braccio che ha sdoganato Paris Hilton e nemmeno il manifesto progressista delle star socialmente impegnate o di certi intellettuali un po' bohémien. Avevo un'amica a Barcellona che abitava in uno splendido appartamento Liberty colonizzato da gatti d'angora. Erano ovunque, sdraiati e sonnacchiosi a disseminare peli e sbadigli. La sera a cena li ho visti passeggiare sulla tavola imbandita e piluccare direttamente dai piatti della famiglia tutta, con noncurante avvallo e protezione dei presenti, intenti tra le chiacchiere a spostare con la forchetta il muso dell'invadente commensale per infilzare un broccoletto. Pur avendo un rapporto assai cordiale e disinvolto con i germi, ho preferito digiunare.

Mondo animale: amatori e business in crescita

Quello che allora era follia oggi è zoomania. Esistono café ad hoc dove condividere con felini a scelta cappuccino e brioche. I cani vantano account Instagram più seguiti di quelli delle fashion blogger. E gli animali godono di tutti i comfort e privilegi che vogliono accordargli i loro padroni (che brutta parola!): viaggi, massaggi, vestiti firmati e strizzacervelli. Oltre che di un nuovo status: diversamente umani. Poi ci sono quelli che amano i quadrupedi davvero e li trattano da quadrupedi (o bipedi o pennuti o pesci o bisce o quel che sono). Cioè come un'altra razza, diversa dalla nostra ma con pari diritti e dignità. Ponendoci degli interrogativi, anche scomodi, ma che vanno affrontati. Perché è vero che si può essere fanatici o solo equilibrati animalisti, ma se l'attenzione al mondo animale diventa fenomeno mainstream, con relativa impennata di amatori e business in crescita, vuol dire che qualcosa nella società sta cambiando, e va indagato. Trattare le bestie come esseri viventi dotati di intelligenza e sensibilità, e condannare in modo irrevocabile maltrattamenti e abusi credo sia un segno di civiltà. Al netto dei gattini che imperversano sui social e dei racconti sulle eroiche gesta dei propri quattrozampe. Ché quelli li ho sempre trovati un po' noiosi. Almeno quanto le apologie delle madri sui propri figli geni. E per favore non ditemi che sono un mostro.