Negli Anni 90 c’erano i single. Nuova fiammante categoria antropologica che teneva occupati i sociologi e gli addetti alle indagini di mercato. Erano l’avanguardia rivoluzionaria che capitanava la metamorfosi della società e dei costumi, i pionieri di un modo nuovo di pensare le relazioni, non più agganciate al trito sogno casa-famiglia-figli che aveva guidato decenni di modeste ambizioni piccolo borghesi. Di colpo chi non trovava l’anima gemella non era più lo sfigato di turno bensì il più moderno e il più cool, perché soli lo si era per scelta (anche quando la scelta era altrui, ma questo bastava non dirlo).

Le donne non eran più zitelle, ma signorine evolute che non si accontentavano del primo che passa per mollare carriere e sfornare bambini, pure loro come i maschi si volevano divertire. Dilapidare lo stipendio tra aperitivi e scarpe firmate, come insegnava Carrie in tv, e darsi tempo per pensare a se stesse o organizzare weekend con le amiche. Nei supermercati approdavano le monoporzioni, le agenzie immobiliari prosperavano con gli affitti di mono e bilocali e il dottor Ross, alias George Clooney, entrava ufficialmente nei sogni proibiti delle italiane, somministrato a piccole dosi in 107 puntate di E.R., presidiando per quasi un ventennio il mercato degli scapoli d’oro.

I single ci sono ancora, anzi sono aumentati: l’Istat ne conta 8,5 milioni nel nostro Paese, cioè 1,8 milioni in più rispetto a 10 anni fa. Ma non fanno più notizia. Proprio perché non sono più l’eccezione ma la regola. A prendersi il posto d’onore sul podio di categoria più trendy dell’odierna società, sono loro, ta-daaa: le mamme. Articolo in via d’estinzione con prosopopea da “specie protetta”.

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L’ho capito un sabato mattina in cui aspettando pazientemente il mio turno davanti a un noto bar di Milano, ho assistito allo show involontario di una giovane madre con figli. Era una famiglia tradizionale: mamma, papà, bambino, bambina. Scapigliati ad arte e hipster. Dunque, ovviamente, amanti del vintage. E in effetti, quella che mettevano in scena a beneficio del pubblico, era la più classica e old fashion delle interpretazioni: quella di una coppia etero con prole sotto il metro e venti, in una bella giornata di primavera. La brioche, il succo, il ninnolo che cade, le smorfie spiritose e i teneri buffetti. Mentre tutti i presenti restavano muti e incantati a guardare. Chi per invidia, chi per nostalgia, chi per la gioia della luce oltre al tunnel.

In fondo, ho pensato, è solo una mamma. Non fa né più né meno di quel che da sempre fanno le madri, dai tempi di Eva fino a Victoria Beckham. E sì che Caino era un tipo difficile. Cos’è che oggi la fa sentire speciale? Come se fosse la prima al mondo. Come se nessuna avesse già prima di lei partorito, allattato, svezzato, smaltito montagne di pannolini, assistito a decine di saggi, spinto altalene, preparato merende, ripreso il francese e ripassato i sumeri, dormito con gli occhi chiusi e le orecchie sempre aperte, sedato litigi, nascosto segreti, trovato calzini nel congelatore e placato con salvifiche goccine quel battito impazzito che ti prende il sabato notte quando senti una sirena in lontananza e di là c’è il letto ancora vuoto.

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Nel 2017 sono nati 9.000 bambini in meno. E insieme a loro sono sparite le mamme: dal 2008 il deficit è di 900.000. Naturale che le superstiti si sentano regine. È un bene? È un male? Chi lo sa. Però vorrei che diventarlo non fosse un privilegio, ma un diritto. Una cosa che tutte, se vogliono, possono fare. Anche se non hanno una casa e il posto è o lui lavora a Caltanissetta e lei a Torino. Abbiamo lottato perché la maternità fosse una scelta, togliendo l’aborto dalla clandestinità e rendendolo legale (il 22 maggio 2018 sono 40 anni che è entrata in vigore la legge 194). Adesso ci tocca lavorare perché sia rispettata anche l’altra scelta: volere un figlio ed essere nelle condizioni di poterlo fare. Un referendum in questo caso non basta. Ci vuole l’impegno di chi comanda. In attesa che qualcuno comandi, buona festa della mamma.