Tutte abbiamo avuto una fase idiota. Una fase un po' fuori controllo, in cui abbiamo fatto cose da dimenticare. Forse eravamo giovani e sprovvedute, oppure fragili, desiderose di esperienze e di conferme, incapaci di dire di no. Prima o poi finiscono, però. Ci sono tante cose nella vita che uno fa con leggerezza o convinzione e poi crescendo non fa più, ma tanto chi se le ricorda, per fortuna si cambia.

Per fortuna non esistevano gli smartphone

Se penso al tipo di quinta liceo che ho baciato nel corso di un capodanno "alticcio" di tanti anni fa, ancora arrossisco. Era il tipo che fuori dal cancello vendeva giornaletti anarchici, uno con l'eschimo e la pancia, incatalogabile persino nella categoria del "tipo". Era brutto e basta. Non mi ricordo più perché l'ho baciato, il motivo – a parte le due dita di pessima vodka che mi ero scolata per darmi un tono, senza "reggere" – mi pare per fare ingelosire un altro. Non ha funzionato. E dopo, a mente lucida, mi sono vergognata da scavare una buca e buttarmici giù. Per fortuna non esistevano gli smartphone e io non avevo amiche cretine pronte a diffondere in mondovisione quell'incidente di percorso che avrebbe macchiato il mio pedigree. Dunque rimase uno spettacolo per pochi. Comunque tutti dopo un po' se ne sarebbero scordati. Vivere nel mondo reale ha questo di vantaggio: la memoria della gente rimuove o archivia in registri remoti e arbitrari del cervello, quasi mai condivisi, poi va avanti. 

Il suo nemico era troppo grande

Il guaio della Rete invece è che, se fai cose di cui non vai fiero, dura per sempre. Rimbalza e si derubrica. Diventa in un minuto materia universale da sfottò, memoria collettiva incancellabile. Per questo Tiziana si è uccisa. Restare inchiodata all'infinito a quella fase della vita in cui si prestava a fare video hard da condividere tra "pochi intimi", a quella frase che la vuole complice e consenziente, dando licenza a tutti di sbeffeggiarla e trattarla come carne da macello, equivale a una condanna. Tiziana, che era fragile – racconta oggi la madre – malgrado non fosse più una ragazzina, ha provato a difendersi. Ma il suo nemico era troppo grande e il risarcimento troppo piccolo per voltare pagina e scegliere di andare avanti.

I cattivi ci sono sempre stati

Si è detto in questi giorni che non è Internet a essere cattivo, ma chi lo usa in modo cattivo. Vero. Ma i cattivi ci sono sempre stati. Il problema si pone quando gli dai le armi per sparare.
Le adolescenti che hanno filmato l'amica ubriaca mentre veniva violentata nel bagno di una discoteca a Rimini sono canaglie e senza cervello, il cellulare le ha rese "criminali". Non c'è ancora in Italia una legge che punisca reati di questo tipo, ma è finalmente approdato all'esame della Camera un ddl sulle aggressioni via Web (la proposta di legge è stata approvata con 242 sì, 73 no e 48 astenuti, ndr). Punire "dopo", a cose fatte, è sacrosanto e necessario, non basta però. Bisogna disinnescare l'ordigno a monte. Come? Con una legge, certo, che inchiodi alle proprie responsabilità chi usa i social per cose atroci senza pensare alle conseguenze; mettendo delle regole in quel Far West che è ancora il digitale; e di sicuro facendo educazione. Perché io mi illudo che certi cyberbulli non sappiano bene quello che fanno. Alcuni sì, la massa no. E l'ignoranza, a volte, fa anche più danni della crudeltà.