Hillary Clinton «deve» diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti. E non perché è la «prima candidata donna» alla Casa Bianca, una nomination storica, ma perché se lo merita. Sarebbe stata il più valido successore di Obama anche se fosse stata un maschio. Ma in più è femmina. E se ce l'ha fatta ad arrivare fin qui, «malgrado» sia femmina, significa che vale doppio. Perché doppio è stato l'impegno che ci ha dovuto mettere per dimostrare di essere all'altezza di quel ruolo. Non succede così anche in imprese meno impegnative di una corsa per la presidenza? Hillary ci riscatta tutte. È noi, su scala più ampia.

Da First Lady a prima donna presidente

Hillary Clinton «deve» essere il prossimo presidente degli Stati Uniti perché sa come si fa. Essendolo già stato in veste di first lady quando ha orchestrato e diretto l'ascesa del marito Bill prendendo per sé la parte peggiore, quella della spalla «bacchettona» di una simpatica canaglia. Persino quand'era la moglie tradita, sotto sotto si tifava per lui, così sfacciatamente umano e pasticcione, da farlo sembrare «uno di noi». Le debolezze di Mr. Clinton, almeno per noi europei, erano la sua forza: gli spinelli fumati «senza aspirare», la tresca con la stagista, le scuse formali e imbarazzate in tv, sembravano marachelle da Tempo delle mele a noi che guardavamo lo spettacolo da qui, pubblico notoriamente avvezzo a ben altre magagne delle «alte sfere». Per questo non abbiamo capito fino in fondo la forza del «perdono» di Mrs. Clinton, che fosse sincero o guidato dalla ragion di Stato. Ma abbiamo apprezzato la pazienza. Digerire, incassare, aspettare. 15 anni sono un tempo sufficiente per riscuotere: ora è Bill che deve renderle il favore. E lo sta facendo egregiamente: «Se volete davvero cambiare per il meglio le vostre vite, non conosco nessuno più capace di Hillary». E il ragazzo sa di cosa parla...

Per un'America che guarda avanti

Hillary deve vincere queste elezioni anche per dimostrare la superiorità dell'intelligenza sulla superficialità, del sacrificio sull'improvvisazione. Non sono solo un uomo di idee repubblicane e una donna di fede democratica che si fronteggiano ma due visioni della vita e del mondo: da una parte il tycoon che la spara grossa, che cavalca la paura e innalza i muri; dall'altra «la persona con più esperienza mai candidata alla Casa Bianca» come ha scritto il New York Times – due volte senatrice, ex segretario di Stato di Obama – che vuole ridurre il gap tra i ricchi e i poveri, aiutare la classe media, favorire la parità di genere, sostenere le minoranze, promuovere i diritti umani nel mondo. Ai suoi elettori non propone una «America che torna grande», ma un'America che guarda avanti. Ai giovani, al futuro, alle ragazze. «Non posso credere che, insieme, abbiamo crepato il soffitto di vetro – ha detto alla convention di Philadelphia – Questa è una vostra vittoria. E se c'è in questo momento una bambina che sta guardandoci, fatemi dire: io posso diventare la prima donna presidente, ma una di voi sarà la prossima». E qui mi è scappata la lacrimuccia.