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Roma: 5 cose da vedere per un viaggio indimenticabile

Un viaggio a Roma resta nel cuore, e lo farà per sempre dopo aver visitato questi 5 luoghi «quasi» sconosciuti

By Igor Principe
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Roma caput mundi? Ebbene, sì. Certo, i tempi di Giulio Cesare e di Marco Aurelio sono passati da un pezzo, ma la Città Eterna continua a esercitare un fascino irresistibile. Al netto di tutti i problemi, le magagne e le buche per strada, è difficile trovare un luogo del mondo in cui arte e bellezza riescano a fondersi in un modo così travolgente (Parigi, probabilmente).

Roma sa essere anche città di bellezze nascoste. Negli occhi del mondo si riflette l'oleografia: Colosseo, Fontana di Trevi, San Pietro, Trinità dei Monti. Le cartoline, insomma. Ma negli occhi di chi viaggia e vuole andare oltre il solito, bellissimo itinerario possono riflettersi questi cinque luoghi. Non sono quelli di una Roma segreta, ma «quasi» sconosciuta ai più sicuramente sì. Ma sono luoghi indimenticabili, da scoprire assolutamente.

1

Basilica di Santa Sabina

<p>Ci sono un bel po' di motivi per visitare questa <strong>basilica</strong> sul <strong>monte Aventino</strong>. Il primo è che si tratta di una delle <strong>chiese paleocristiane </strong>conservate meglio in Italia. Un altro è un foro nel muro, che affaccia su un giardino e in particolare su un arancio: il primo mai piantato a Roma, nel 1220 ad opera di san Domenico. Un altro ancora è il dettaglio del portone ligneo che vedete nella foto: si tratta della più antica rappresentazione della Crocifissione. Risale al V secolo e, prima, non ne erano mai state fatte. L'ultimo motivo è nella foto seguente.</p>

Ci sono un bel po' di motivi per visitare questa basilica sul monte Aventino. Il primo è che si tratta di una delle chiese paleocristiane conservate meglio in Italia. Un altro è un foro nel muro, che affaccia su un giardino e in particolare su un arancio: il primo mai piantato a Roma, nel 1220 ad opera di san Domenico. Un altro ancora è il dettaglio del portone ligneo che vedete nella foto: si tratta della più antica rappresentazione della Crocifissione. Risale al V secolo e, prima, non ne erano mai state fatte. L'ultimo motivo è nella foto seguente.

2

Il Giardino degli Aranci

<p>All'anagrafe comunale fa <strong>parco Savello</strong>, ma a Roma è noto con quell'altro nome. Attiguo alla basilica di Santa Sabina, offre la più bella vista che possiate avere sulla capitale. Il cupolone come lo vedete nella foto vi stupirà: per un bizzarro gioco di prospettiva, più vi avvicinate alla balconata e lui più si allontana. Ah, naturalmente il giardino è colmo di aranci. </p>

All'anagrafe comunale fa parco Savello, ma a Roma è noto con quell'altro nome. Attiguo alla basilica di Santa Sabina, offre la più bella vista che possiate avere sulla capitale. Il cupolone come lo vedete nella foto vi stupirà: per un bizzarro gioco di prospettiva, più vi avvicinate alla balconata e lui più si allontana. Ah, naturalmente il giardino è colmo di aranci.

3

Santo Stefano al Monte Celio

<p>Anche qui, i Romani parlano di <strong>Santo Stefano Rotondo</strong>. Non è difficile capirne il motivo: la basilica, di fondazione paleocristiana, è a pianta circolare. La forma fa risaltare il ciclo di affreschi che il Pomarancio dipinse sulle pareti alla fine del Cinquecento. Gli fu chiesto di raccontare le storie dei martiri cristiani, così lui partì dalla Crocifissione (giustamente), continuò con santo Stefano e prosegui con decine e decine di rappresentazioni. Insomma, storytelling d'antan. </p>

Anche qui, i Romani parlano di Santo Stefano Rotondo. Non è difficile capirne il motivo: la basilica, di fondazione paleocristiana, è a pianta circolare. La forma fa risaltare il ciclo di affreschi che il Pomarancio dipinse sulle pareti alla fine del Cinquecento. Gli fu chiesto di raccontare le storie dei martiri cristiani, così lui partì dalla Crocifissione (giustamente), continuò con santo Stefano e prosegui con decine e decine di rappresentazioni. Insomma, storytelling d'antan.

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4

Monte Testaccio

<p>Quante volte l'avete sentito dire che<strong> Testaccio </strong>è il cuore della Roma popolare (e popolana)? Ebbene, il quartiere prende il nome dai cocci - le <em>testae</em> - di anfore per l'olio e il vino ammonticchiati nei secoli in un punto preciso. Sembra fossero 80 milioni di pezzi, frantumati e sedimentati fino a diventare una collina con tanto di vegetazione. Siccome la terracotta conserva il cibo in ottime condizioni, nel Medioevo si cominciò a scavare grotte alla base del monte per stivarvi derrate, e in particolare il cacio. Così qualcuno cominciò a chiamar caciare quelle cantine. Intorno alle quali, evidentemente, c'era sempre molto chiasso. </p>

Quante volte l'avete sentito dire che Testaccio è il cuore della Roma popolare (e popolana)? Ebbene, il quartiere prende il nome dai cocci - le testae - di anfore per l'olio e il vino ammonticchiati nei secoli in un punto preciso. Sembra fossero 80 milioni di pezzi, frantumati e sedimentati fino a diventare una collina con tanto di vegetazione. Siccome la terracotta conserva il cibo in ottime condizioni, nel Medioevo si cominciò a scavare grotte alla base del monte per stivarvi derrate, e in particolare il cacio. Così qualcuno cominciò a chiamar caciare quelle cantine. Intorno alle quali, evidentemente, c'era sempre molto chiasso.

5

San Pietro in Vincoli

<p>Sì, è vero: non parliamo di un luogo proprio sconosciuto. Ma è altrettanto vero che quando qualcuno a Roma dice Michelangelo, finisce sempre per andare al cospetto del Cupolone o ai Musei Vaticani per rimanere stordito dalla bellezza della Cappella Sistina. Ebbene, c'è un'altra bellezza michelangiolesca capace di lasciare senza fiato, ed è il <strong>Mosé</strong> che l'artista realizzò come parte della <strong>tomba di papa Giulio II </strong>(1513). A guardarlo bene si notano particolari strani, per esempio un ginocchio più grande dell'altro. Eppure, allo sguardo d'insieme è perfetto. Quasi vivo. E infatti, l'artista gli scagliò contro il martello urlando: «Perché non parli?». A proposito, la chiesa si chiama San Pietro in Vincoli perché sotto l'altare sono conservate le catene - i vincoli, appunto - con cui Pietro fu portato a Roma e martirizzato. </p>

Sì, è vero: non parliamo di un luogo proprio sconosciuto. Ma è altrettanto vero che quando qualcuno a Roma dice Michelangelo, finisce sempre per andare al cospetto del Cupolone o ai Musei Vaticani per rimanere stordito dalla bellezza della Cappella Sistina. Ebbene, c'è un'altra bellezza michelangiolesca capace di lasciare senza fiato, ed è il Mosé che l'artista realizzò come parte della tomba di papa Giulio II (1513). A guardarlo bene si notano particolari strani, per esempio un ginocchio più grande dell'altro. Eppure, allo sguardo d'insieme è perfetto. Quasi vivo. E infatti, l'artista gli scagliò contro il martello urlando: «Perché non parli?». A proposito, la chiesa si chiama San Pietro in Vincoli perché sotto l'altare sono conservate le catene - i vincoli, appunto - con cui Pietro fu portato a Roma e martirizzato.

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