Smart working. O, se preferite, lavoro intelligente. Una definizione che può voler dire molte cose, ma che in realtà si traduce in una parola: flessibilità. Ovvero, il non essere obbligati alla presenza sul posto di lavoro, a un orario più rigido dell'obelisco di Axum, agli spostamenti casa-ufficio e viceversa con tutto il tempo perso che ne consegue (ne abbiamo parlato anche con Cristina Scocchia de L'Oréal qui). 

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Dunque, parliamo di una cosa semplice ed efficace; che, infatti, piace sempre di più. Secondo l'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano il 67% delle imprese medio-grandi italiane lo applica. In particolare, questa modalità di lavoro piace alle donne: il 72% si dichiara interessata, perché vi vede un incentivo alla produttività (41,7%) e più tempo da passare in famiglia e con i figli (30,4%). 

Non è un caso che siano le donne a trovar sintonia con tanta intelligenza lavorativa. Il nostro mercato del lavoro conta purtroppo un una certezza: il 47% del lavoro è femminile (peggio di noi solo Grecia e Malta). Di questo, quasi il 53% è composto da mamme, percentuale che sale al 57,8% tra le donne al primo figlio e scende al 39% tra chi abbia tre o più figli. Infine, il 14% delle lavoratrici smette di lavorare dopo la gravidanza.

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Tra numeri tutt'altro che incoraggianti si fanno quindi strada i progetti per cambiare le cose, migliorandone. Per esempio, quello di un gigante industriale italiano qual è Tim, che punta a diventare una digital company come in California lo sono Google o Facebook. E che ha in corso un importante progetto di smart working, di cui abbiamo parlato con il responsabile, Andrea Iapichino.

Di cosa si tratta? 

Di un progetto che interessa cinque città italiane: Roma, Milano, Torino, Bologna e Palermo. I dipendenti coinvolti sono circa 18mila, il 35% dei quali è rappresentato da lavoratrici. La logica è semplice: affidarsi alla tecnologia digitale per migliorare il rapporto tra vita privata e lavoro.

In cosa consiste, nello specifico? 

Nel non essere in ufficio il mercoledì o il giovedì, giorni in cui si può lavorare da casa o da sedi aziendali diverse da quella in cui si sta normalmente. Servono un pc portatile e uno smartphone per collegarsi alla rete aziendale.

Dov'è la flessibilità, in questo sistema? 

Negli orari. L'accordo sul tempo di lavoro è individuale, compreso in una cornice che va dalle 8 alle 20. Si sceglie quando iniziare, e le pause possono durare da 30 minuti a 3 ore. In questo modo, per fare un esempio, una mamma che ha i figli a scuola ha tempo di andare a prenderli e magari fermarsi anche per un colloquio con gli insegnanti. Il risparmio di tempo è cruciale: basti pensare che a Roma lo spostamento medio casa-lavoro è di 60 minuti a tratta. Si parla di due ore al giorno risparmiate

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Il progetto è definitivo? 

No, è una sperimentazione che punta a diventare una realtà aziendale effettiva entro la fine del 2017. Le prospettive ci sono tutte: nei primi venti giorni di sperimentazione hanno aderito 8mila dei 18mila dipendenti potenzialmente coinvolti. Ciascuno può scegliere la durata del periodo di smart working, da un minimo di 3 mesi a un massimo di 6. È interessante, infine, notare che la fascia d'età più interessata, con il 39% di adesioni, è quella che va da dai 46 ai 51 anni.

Ci sono altri progetti in corso? 

Nella nuova sede in fase di realizzazione all'Eur avremo un asilo per i figli dei dipendenti, locali in cui sarà possibile conservare la spesa fatta magari in pausa pranzo, la sede di un'agenzia di servizi con sportelli in giorni fissi in cui sbrigare pratiche amministrative. Ciò significa, come sopra, risparmio di tempo per il dipendente e riduzione della sua mobilità. I benefici sono collettivi: immaginate cosa significhi avere 4-5mila persone in meno in auto durante la giornata. E per quanto riguarda i giorni di lavoro da casa, ciò crea benefici alla vivibilità dei quartieri, perché dà alle persone il tempo di viverli e li allontana dall'essere solo degli immensi dormitori.