Il 12 giugno si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Che sì, esiste ancora. In una mattina d'estate, una figura minuta scivola fuori da un edificio diroccato tra i vicoli di La Paz. In mano una scatola di legno, il ragazzo passa in rassegna le scarpe dei passanti. «Posso lustrarne di qualsiasi tipo», spiega. «Non è un lavoro difficile, ma bisogna essere veloci e precisi». Il 13enne Ruben Flores, maggiore di cinque figli, ha cominciato tre anni fa, lavorando mezza giornata durante l'anno scolastico e a tempo pieno nei week end, dove arriva a guadagnare circa 10 euro al giorno. Come lui, sono ben 850.000 i bambini che lavorano in questo Paese di 10 milioni di abitanti. 

Secondo l'Organizzazione mondiale del lavoro, al mondo vi sono 168 milioni di bambini lavoratori.

Ma mentre la maggior parte dei Paesi ha messo fuorilegge il lavoro minorile, la Bolivia ha abbassato l'età minima a 10 anni. Human rights watch l'ha definita «una soluzione a breve termine» che potrebbe compromettere l'educazione dei giovani, ma in un Paese dove il 45 per cento della popolazione è sotto la soglia di povertà lavorare è una necessità, anche per i minori. Brandon Ventura è uno di questi. Appena nove anni, Brandon raccoglie foglie di coca presso il villaggio di Coripata, tra le montagne andine. «Il lavoro è molto duro. Ci sono tante zanzare e a fine giornata mi fanno male le spalle», spiega il ragazzo, che raccoglie sette libbre di coca al giorno a 4 boliviani la libbra. I soldi che Brandon guadagna contribuiscono a mantenere la famiglia e a coprire gli studi del ragazzo, che divide le sue giornate tra il lavoro nei campi e la scuola. «Per me i bambini non dovrebbero lavorare, ma non possono neanche lasciar soffrire le loro mamme da sole», spiega.

Secondo l'Unicef, la Bolivia è il Paese dell'America latina con la più alta percentuale di bambini lavoratori (26 per cento contro una media dell'11).

Tuttavia, molti esperti locali non lo percepiscono come un problema. «Da noi, il lavoro è parte dell'educazione di un bambino», spiega Betsabè Evia Cabrera, coordinatrice pedagogica presso una fondazione di El Alto, una città satellite di La Paz. «Dobbiamo guardare questi ragazzi non come dei disgraziati, ma come persone che stanno costruendo il loro futuro». «Il problema è che il lavoro minorile suscita spesso scandalo o compassione, invece che favorire un'analisi seria delle sue cause», le fa eco Isbel Adriana Flores Valdez, psicologa presso la Fundacion La Paz che fornisce servizi ai bambini lavoratori. «Molti sono orgogliosi di ciò che fanno per le loro famiglie».

Quando il sole scende su Plaza Mayor, Ruben il lustrascarpe fa ritorno a casa con qualche decina di monete in tasca.

Suo padre gli ha comunicato che non intende far lavorare i suoi fratelli e sorelle, una decisione che pone ancora più responsabilità sulle spalle di questo ometto. «Ruben aiuta sempre la famiglia. Ogni volta che siamo in difficoltà compra da mangiare per tutti», ammette la madre. «Pochi giorni fa mi ha detto "Mamma, continuerò a lavorare. Un giorno voglio comprare una macchina e accompagnare i miei fratelli e sorelle all'università"».