L'orto di Enrico sembra un giardino delle meraviglie. Ci sono patate, piselli, cipolle, zucchine. Ma soprattutto ci sono i bambini, i suoi, di 11 e 9 anni, che insieme a lui seminano, piantano, raccolgono. «Negli ultimi due anni abbiamo persino mietuto il grano», spiega Enrico, separato dal 2011. È stato allora, racconta, che si è chiesto come volesse stare con i suoi figli. Una domanda consueta, per la verità: dopo la rottura di un nucleo familiare, equilibri affettivi e organizzazione pratica devono essere ricostruiti e sono spesso i padri a scoprire un ruolo genitoriale prima considerato scontato. «La mia era una situazione tradizionale: io lavoravo, lei, a casa, si occupava di tutto, dal cibo ai vestiti…

A posteriori, penso che questo disequilibrio sia stata una delle ragioni del nostro allontanamento, ma il fatto è che anch'io avevo qualcosa da imparare della vita coi figli», continua Enrico.

«All'inizio, ho cercato di creare un appuntamento tutto nostro leggendo insieme a voce alta la saga di Harry Potter e Lo Hobbit, ma ho anche cominciato a occuparmi dei compiti di scuola e a cucinare. Il cibo, per esempio, si è trasformato in uno strumento di relazione, anche se i primi tentativi sono stati imbarazzanti, mentre ora andiamo tranquilli con le "patate in tecia", una ricetta triestina, e la pizza fatta in casa. Oggi posso affermare che tutto questo è un successo personale: non avevo modelli a cui fare riferimento, a partire da mio padre che certe cose, con me, non le ha mai fatte. Ma è stata una conquista anche dal punto di vista legale: avrei potuto alleggerirmi dalle responsabilità, invece me ne sono caricato».

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La presa di coscienza della paternità

Un bel risultato perché, come afferma Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione avvocati matrimonialisti italiani, «anche se nel 90 per cento dei divorzi c'è affido condiviso, solo una minoranza dei figli ha la residenza dal padre. La giurisprudenza, in accordo con il comune sentire, propende per le mamme, mancando in Italia linee guida comuni che rendano certo il diritto di famiglia. Così molto dipende dalla sensibilità del giudice, nonostante oggi i padri assenti, che non pagano gli alimenti, siano una rarità rispetto al passato e che nelle nuove generazioni emerga una forte presa di coscienza».

Coscienza e gioia perché, come testimonia il libro Notti in bianco, baci a colazione (Einaudi) di Matteo Bussola, la scoperta dei gesti della paternità regala una nuova dimensione di felicità:

essere padri rende uomini migliori, forse più stanchi, ma anche più pronti a riflettere su se stessi, sul senso del presente e del futuro, considerazioni solitamente riservate al genere femminile.

Nulla di più lontano da quello che ha scritto lo psicoanalista Massimo Recalcati nel suo Cosa resta del padre (Cortina), dove i capofamiglia perdevano persino la capacità di educare. O da quello che racconta Maurizio Quilici, presidente dell'Istituto studi sulla paternità, nel libro Grandi uomini, piccoli padri (Fazi): sei biografie di altrettanti geni dell'umanità (Galileo, Rousseau, Manzoni, Tolstoj, Einstein, Chaplin), accomunati da un totale disinteresse, se non addirittura un rifiuto, verso la prole.

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Condividere cure e attenzioni verso i figli

Di fatto, chi rema controcorrente è quasi inascoltato. «C'è un modesto riconoscimento sociale per chi, come me, ha voluto fare il padre a ogni costo. Spesso mi sono sentito dire: «Cosa vuoi combinare tu che sei maschio?», come se il padre fosse un modello perdente», racconta Antonio, separato con una figlia.

«Invece ho capito che, paradossalmente, potevo avere un rapporto sereno con mia figlia solo mettendo una divisione tra me e la madre, che voleva essere l'unica figura di riferimento. Quando ci siamo separati, la ragazza aveva 14 anni ed era in uno stato di preanoressia. Una preoccupazione che mi ha creato una sorta di ossessione di paternità, convincendomi a prendermi tutte le responsabilità possibili. La paternità è una cosa che ho voluto fortemente, come ho voluto condividere con lei le mie passioni, dalla barca a vela alla musica alla fotografia. Anche se la più grande soddisfazione l'ho avuta quando mi ha chiesto una moto con il cambio: ho capito che aveva preso qualcosa da me».

Il punto è proprio questo: non sono solo i padri a perdere un pezzo di vita se un matrimonio finisce: sono soprattutto i figli e le figlie a perdersi una parte della «loro identità. Ecco perché l'inglese Fatherhood Institute (una sorta di serbatoio di pensiero sul tema della paternità che promuove ricerche internazionali e politiche di cogenitorialità), insiste su una visione positiva dell'essere padri, preparando i ragazzi e le ragazze di oggi a un ruolo condiviso nella cura dei figli. Cosa che di fatto, nella quotidianità, succede. «La cosa singolare del mio ménage familiare è che, essendo padre di due figli avuti da mamme diverse, sono io il baricentro di questa famiglia allargata», racconta Nicola.

«Sarò fortunato, ma la gestione è fluida. Andiamo tutti d'accordo, le due mamme, le nonne e i due adolescenti di 17 e 12 anni. Insieme facciamo un sacco di cose, arrampichiamo, sciamo. La sera, anche se in case diverse, facciamo partite online con i videogiochi preferiti. Frequentemente sono le mamme a credere che i figli siano una loro prerogativa, penso invece che limitare la tendenza al perenne accudimento possa essere un fatto positivo per la loro crescita. Condivido con i figli regole e orari. Per esempio, se per un qualsiasi motivo decidono di non mangiare all'ora stabilita, lascio semplicemente che capiscano le conseguenze».

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Sostenere i genitori

Una conferma del fatto che la società è spesso più avanti della politica. E persino dei rilievi demografici se, come risulta dai dati Istat, le famiglie monoparentali aumentano anche Italia (il 15 per cento): una percentuale dove stanno facendo capolino quelle nelle quali sono i padri a prendersi cura dei figli. In Europa, dove il fenomeno è più marcato, la Commissione ha stanziato 200.000 euro per il progetto Stronger parents, stronger families (Genitori più forti, famiglie più forti): 70.000 sono destinati all'Italia che si è impegnata, attraverso Intermedia social innovation, a creare corsi e strumenti per insegnare il ruolo di genitori e come gestire casa e famiglia in una società che, nonostante l'apparente modernità, è ancora inadeguata. Perché si può imparare a fare tutto, persino a diventare superpapà.