«Che cosa ti è successo a papà, perché sei nervoso?»

«Non ho voglia di parlare». 

«Se non me lo dici chiamo mamma e ti costringo a parlare con lei, lo sai che non molla fino a quando non ha estorto anche l'ultima informazione». 

«Va bene. È successo che Giovanni mi ha detto di fare sempre quello che dice lui altrimenti mi fa uscire dal gruppo». 

«Quale gruppo?»

«Quello degli amici». 

«Ma è un ricatto».

«Cosa?»

«Una minaccia, un'intimidazione che ti pone nella situazione di non poter rifiutare quanto ti viene chiesto». 

«Io non voglio uscire dal gruppo degli amici». 

«Hai ragione, ma devi pensare che lui non è il capo di nessuno e gli amici non sono di sua proprietà». 

«Allora perché dice queste cose?»

«Per sentirsi forte. Il ricatto è un'arma che si usa quando si disperati».

Alzi la mano chi da genitore non è mai ricorso ad un ricatto con i figli per ottenere qualcosa.

Io spesso dico: «Se non metti in ordine la tua camera non ti faccio giocare con il tablet» oppure «Se continuate a litigare tra voi questo fine settimana non avrete le figurine dei calciatori».

Sono ricatti, non c'è niente da fare. 

Ogni volta però a questo tipo di ricatto fa seguito lo «spiegone» perché odio ricorrere a questi mezzi. Dico sempre ai miei figli che le loro azioni devono essere frutto di una scelta libera, che quando ricorro a questo sistema mi sento sconfitto come padre perché la vera forza non è nella minaccia che si attua, ma nella fiducia che si dona. 

Aspettare in silenzio che i miei figli siano maturi è una cosa che non riesco a fare e per questo mi giustifico pensando che esistono dei ricatti a fin di bene, un po' come accade con certe bugie, o no?

«Papà, ma quanti tipi di ricatti esistono?»

«C'è quello morale, amoroso, politico…»

«E poi il ri-catto, il ri-cane e il ri-topo».