La trappola perfetta è che non stai male da subito. «Nel mio caso qualcosa si è spezzato a un mese dal parto. Mio marito usciva la mattina per andare al lavoro, io mi sentivo soffocare dall'angoscia e avevo male al petto all'idea che avrei dovuto rimanere sola per ore con quella creatura che nemmeno sentivo mia», spiega Francesca, mamma di 33 anni. «Mio figlio piangeva e io piangevo più forte. Ho provato a frequentare altre madri ma loro, nonostante la stanchezza dei primi tempi, erano contente e questo mi faceva sentire ancora più stupida e sconfitta».

La subdola condizione capace di strappare il sorriso alle madri 

Viene perentoriamente chiamata depressione post partum ed è spesso confusa con il baby blues, che invece è un fenomeno del tutto normale (interessa il 70 per cento delle neo mamme, è dovuto al crollo ormonale e in genere passa dopo due settimane dal parto). «So, perché me l'hanno detto, che da fuori sembravo proprio una brava mamma: il piccolo era sempre ben vestito, lavato e curato», continua Francesca. «Invece ero allo stremo delle forze. Adesso finalmente sto bene, ma capire di dover chiedere aiuto, farsi curare e poi guarire, è un processo lento e doloroso».

Quando pensiamo davvero al buio che inghiotte la mente delle mamme? 

In linea di massima, solo quando siamo obbligati a posare gli occhi su certe notizie che in cronaca si presentano, purtroppo, regolarmente. Solo nelle ultime settimane: a Cosenza, una mamma medico di 32 anni piantonata in ospedale, sospettata di avere soffocato la sua bambina di sette mesi prima di imbottirsi di barbiturici; vicino a Recanati, una 32enne suicida, dopo avere ucciso a fucilate il figlio di sette anni. Ha senso in casi come questi parlare della coda velenosa di una depressione post partum, magari trascurata o negata per mesi o anni? Forse no, stando alle statistiche – i figlicidi in Italia sono una ventina all'anno, le madri depresse 50.000 - ma di depressione madri (e figli) comunque soffrono. Lo stigma sociale è determinante: dopo la maternità, una donna si sente ripetere allo sfinimento che è "molto fortunata", perché "un figlio è una benedizione". Succede, però, di non sentirsi né grate né felici, e talvolta anche di imparare a recitare con astuzia la parte della persona appagata, mentre dentro ci si sente morire. Del resto, spiega Francesca, di rado qualcuno ti ascolta. «Se dicevo di vedere tutto nero mi ripetevano: sei una mamma, non puoi crollare».

Il report di Save the children Mamme in arrivo

Secondo questo report, la depressione in Italia riguarda dall'8 al 12 per cento delle neo mamme, per la Società italiana di neonatologia la percentuale sale al 16 per cento: la discrepanza tra i dati fa capire quanto di depressione post partum si parli poco e male. Come spiega Raffaella Scalisi, psicologa, fondatrice dell'associazione Il melograno di Roma, che da 30 anni si occupa di maternità: «C'è una doppia sottovalutazione sociale. Da un lato non vengono riconosciute le tante sfaccettature della maternità, le ambivalenze, le ansie, le fatiche, le rabbie, le angosce, i desideri di fuga, i vuoti che di norma accompagnano la nascita di un figlio. Dall'altro, quando questo si amplifica e muta in stato depressivo, per mariti e famigliari è più facile scrollare le spalle e dire "Passerà" che affrontare di petto la questione e cercare seriamente aiuto per la propria compagna, figlia, sorella.

La depressione delle madri non ha un'unica causa 

Dipende da un mostruoso intreccio di fattori «di natura psicologica, biologica, relazionale e persino ostetrica: dal modo in cui il bambino è nato discendono a cascata molte cose», svela Maria Zaccagnino, psicoterapeuta, autrice di un saggio che è una pietra miliare sul tema: I disagi della maternità. Individuazione, prevenzione, trattamento (Franco Angeli). «Contano il patrimonio genetico ma anche componenti esterne, come l'ansia provata in gravidanza, aver avuto episodi di depressione in famiglia, un lutto o la mancanza di un compagno; oppure motivi pratici come la perdita del lavoro, le difficoltà economiche, un parto traumatico». L'elenco dei sintomi di depressione è una lista della spesa brutale e infinita. Sbalzi d'umore, pianto improvviso e immotivato, perdita di concentrazione, ansia, disturbi del sonno e dell'appetito, preoccupazione eccessiva per il bambino ma anche totale assenza di empatia, sensi di colpa; e poi, quel velo di "solitudine infinita" che non passa e anzi tende ad aggravarsi.

Le mamme di oggi sono più sole di un tempo? 

«A molte manca la rete della vecchia famiglia allargata, in cui trovavano posto anche nonne e sorelle», ricorda Marilde Trinchero, arteterapeuta e autrice del libro La solitudine delle madri (Magi). «E, pur essendo i padri più presenti che in passato, siamo ancora lontani da un'equa divisione dei compiti. Però la depressione resta un tabù, non una malattia da curare ma qualcosa da nascondere; nella nostra società ancora galoppano i miti della prestazione e dell'eccellenza in ogni campo, che mal si adattano alle fragilità della vita. D'altro canto, dopo la nascita di un figlio la mancanza di sonno, i ritmi serrati, le nuove abitudini, le inevitabili ansie ci rendono più vulnerabili che mai».

L'unica strada da seguire è chiedere aiuto

Una depressione trascurata può avere conseguenze molto serie e limita, tra l'altro, la capacità materna di occuparsi del bambino; figli di madri depresse possono sviluppare a loro volta, in adolescenza, sintomi depressivi. Ma da sola questa condizione non porta a gesti estremi come l'infanticidio: «Sarebbe come dire che tutte le persone depresse si vogliono suicidare», dice Zaccagnino. «No, la depressione si colloca in una sintomatologia psico-dissociativa molto più grave e il più delle volte anche già esistente». La più importante di tutte le domande è se si possano intercettare i segnali lanciati da una donna prima del gesto indicibile. «Uno dei principali, ma non l'unico, motivo scatenante è l'isolamento familiare e sociale. Ma poi dev'esserci una patologia grave già presente da prima: una vera psicosi che può protrarsi e per cui servirebbe il ricovero».

Quando si arriva all'infanticidio

«In estrema sintesi si arriva all'infanticidio quando c'è un problema di simbiosi non risolta, e cioè: io, madre, uccido il bambino per uccidere la mia parte bambina», spiega Mara Ceruti, psicoterapeuta del Centro di prevenzione e trattamento della depressione post partum dell'ospedale Niguarda di Milano. «Per fortuna si tratta di casi rari. Da noi vengono donne di ogni tipo, senza distinzione di classi sociali; età tra i 30 e i 40 anni, soprattutto al primo figlio. La cura può durare sei mesi se la depressione post partum è lieve; almeno un anno, con sedute settimanali, nei casi più gravi. Il dato interessante è che la terapia funziona, quello preoccupante è che in troppe non capiscono di dover chiedere aiuto; le più a rischio sono le straniere. Proprio il Niguarda è una delle sedi di Fiocchi in ospedale, un progetto di Save the children Italia a sostegno della genitorialità, che oltre a un supporto psicologico offre sostegno materiale con la fornitura di pannolini e accessori: «La chiave di tutto è occuparsi del benessere globale di mamma e bambino, fare prevenzione oltre che terapia», continua Ceruti. In sostanza, intercettare e accogliere i bisogni della donna, prima che si trasformino in problemi. 

Valentina Colmi, coautrice di quest'inchiesta, è anche la fondatrice del blog Post-partum.it, dedicato alla depressione materna.