I figli delle puerpere attempate si riconoscono dalle unghie: lunghe. Perché c'è un rapporto massimo, tra l'età della madre e quella del figlio, superato il quale la natura declina ogni responsabilità, e riuscire a mettere a fuoco il bianco minuscolo dell'unghia minuscola sul dito minuscolo, e che oltretutto non sta fermo un attimo, è di fatto impossibile. Mi chiamo Serena, ho 4* anni e una figlia di cinque. Mesi. L'altra mattina le ho quasi amputato una falangetta.

Non è la prima: è la terza (figlia, non falangetta). Non è capitata (alla mia età certe cose non capitano più). È stata voluta, di tigna. Perché è vero: il motivo migliore per fare un (terzo) figlio a quarant'anni è poter smettere di chiedersi se sia davvero il caso di fare un (terzo) figlio a quarant'anni. Proprio quando tutto sembrava aver trovato un equilibrio, anche il mio armadio da adulta, costruito saldo dopo saldo su capi maestosamente tagliati per una signora della mia età, però più magra.

Ma a questo serve il terzo figlio: a disinnescare l'irreparabile. Tutto passa, e con la velocità disarmante del tempo quando hai quarant'anni: le settimane che con la primogenita sembravano ere glaciali adesso sono tre, sette, ventuno, ho perso il conto. Per fortuna ho una neonata del 2015, e l'iPhone pieno di app per tenere traccia di quello che mangia, dorme, evacua. Ma a ogni poppata perdo conoscenza, e mi risveglio un'ora dopo col telefono scarico e la schiena paralizzata. Vederla addormentata non ha prezzo, per tutto il resto c'è Voltaren.

Ma a quarant'anni, alla terza figlia, ho già deciso che madre sono: non devo passare le notti a costruirmi un'identità su internet difendendo teorie di puericultrici morte milionarie. Quindi mi rimane il tempo per complicarmi la vita, ché una cosa l'ho imparata subito: il peggio che può capitare con tre figlie – di qualunque età, in qualunque stagione – è averle tutte nella stessa stanza. Pertanto negli ultimi cinque mesi siamo partite sei volte, e ogni volta ho rinnegato la progenie nell'esatto istante in cui chiudevo le valigie. O almeno: ci provavo.

L'ingombro di un neonato si dimentica: le borse straripanti, le mani sempre piene, gli asciugamani in macchina, i pannolini in tasca. Epperò c'è ancora spazio per infilare calze rosa col fiocchetto. Perché la terza figlia, a quarant'anni, annichilisce il senso di decenza. La vesto, la guardo, la annuso e la strofino con una cura che non ho mai avuto prima. Non con la grande: ero terrorizzata. Con la seconda, troppo impegnata a controllare tutto. La terza volta, a quarant'anni, è l'ultima. Definitiva. Mi manca il fiato, anche per lamentarmi.