Bullismo e cyberbullismo: ne è vittima almeno un ragazzo su cinque. «Ora però devi suicidarti, hai capito?», hanno insistito per settimane via WhatsApp, singolarmente e in un gruppo ad hoc chiamato FacciamolaMorire, le compagne di Martina, 13 anni, colpevole di "aver fatto la spia" su un furto a una professoressa, prima che lei trovasse la forza di chiedere aiuto ai genitori. Carolina non ci è riuscita: a 14 anni si è uccisa perché un video hard che la ritraeva era rimbalzato sul web. Suo papà, Paolo Picchio, oggi continua a diffondere la sua foto perché nessuno dimentichi: «E alle vittime di cyberbullismo dico: parlatene, non isolatevi». Per colpire il bersaglio non serve più nemmeno la pausa di ricreazione: al cyberbullismo, cresciuto dell'8 per cento nel 2016, per divorarsi le vittime basta un clic. In attesa dell'approvazione di una legge, i dati dell'European network against bullying, diffusi in Italia da Telefono azzurro, raccontano una realtà preoccupante: il 21,9 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni ne è stato vittima negli ultimi 12 mesi.

Uno su cinque, almeno: «Il fenomeno è in gran parte sommerso», sospira Anna Oliverio Ferraris, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e autrice di Piccoli bulli e cyberbulli crescono (Rizzoli), dal sottotitolo eloquente: Come impedire che la violenza rovini la vita ai vostri figli. «La buona notizia è che oggi se ne parla molto più di un tempo. Le cattive: da un lato la società è diventata più violenta, dall'altro il bullismo virtuale è una vigliaccheria di comodo accesso. Gesti che nella realtà verrebbero filtrati, evitati, in Rete sono facili», un orrido snack da consumare protetti da uno schermo, a qualunque ora.

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«La scritta offensiva sulla porta del bagno si cancella; gli insulti via chat, una volta virali, non li togli con un colpo di spugna», riflette Amedeo Bozino Resmini, psicoterapeuta. E se nel bullismo tradizionale vittima e bullo si conoscono, «online ti accanisci contro un estraneo e neanche sai perché». «L'aggressore che non può osservare le reazioni della vittima non prova empatia», continua Oliverio Ferraris. Uscirne è possibile, ma occorre un salto di pensiero: «Per quanto sembri un paradosso, il bullo va aiutato. Perché viene da una famiglia in cui hanno luogo interazioni violente, o perché nessuno gli ha spiegato le conseguenze delle sue azioni. Chi sbaglia deve poter cambiare». È l'obiettivo del progetto Enable, promosso nelle scuole italiane da Telefono azzurro: da persecutore a "tutor" che aiuta i coetanei in difficoltà. «C'è chi pensa che aggressività e violenza siano sinonimi. Invece, l'aggressività può trasformarsi in grinta. E i bulli, per quanto strano possa sembrare, in angeli custodi».