L'inizio della storia è edificante: in una città di provincia lei e lui decidono di separarsi senza drammi, con civiltà e rispetto. Come spesso accade nella vita, ogni fair play viene meno quando è il momento di discutere l'affidamento dei tre figli davanti al giudice. Siamo nel bel mezzo di una commedia nera sulla famiglia, firmata da Riccardo Milani, Mamma o papà?, con Paola Cortellesi e Antonio Albanese e capita che, a sorpresa, nessuno dei due coniugi ne chieda la custodia: accecati dal desiderio di rivalsa, hanno entrambi altri progetti. E, come è appena accaduto in un recente episodio di cronaca (la realtà supera sempre la fantasia), il giudice lascia la parola ai ragazzi, cui i genitori rissosi faranno vedere i sorci verdi, pur di non risultare i prescelti. Questa, sommariamente, la storia esilarante e crudele di Mamma o papà?, che punta il dito sugli orrori che si consumano intorno al tema dell'affidamento dei figli. A regolarlo, c'è una legge che ha appena compiuto 11 anni, la 54/2006, che introdusse nel diritto di famiglia il principio della bigenitorialità, ma sulla cui bontà il dibattito è tuttora acceso.

Materia incandescente

«Toccare la famiglia è sempre un atto scomodo, toccarla in maniera scorretta è quasi sacrilego», confessa Riccardo Milani, regista del film, padre di tre figli. «La verità è che una famiglia si costruisce intorno a un nucleo di estranei che decidono di stare insieme. Con amore, affetto, ma hanno personalità e interessi diversi. Quando arrivano i figli è facile che l'equilibrio si crepi e comincino a emergere le individualità: c'è chi trova una composizione, altrettanto spesso la coppia scoppia. Come accade ai coniugi del film, ciascuno cerca di rafforzare identità e ambizioni, esasperando immaturità e inadeguatezza». Accade nelle migliori famiglie che si contendono l'affido, «in cui i figli vengono usati come proiettili».

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Antonio Albanese e Paola Cortellesi in una scena del film Mamma o papa?

Una legge tradita.

«Rispetto a prima, l'affido condiviso rappresenta un passo avanti», ammette l'avvocato Barbara D'Angelo, esperta di Diritto di famiglia. Riconosce un ruolo al genitore che non vive con il figlio, costringe gli ex coniugi a mettersi a tavolino per cercare decisioni comuni. Se prima era oggetto di contenzioso, ora sulla modalità di affidamento non c'è quasi più conflitto». Nel 90 per cento delle separazioni i giudici applicano il condiviso, dicono i dati, un po' meno nei divorzi. Sono molti però, a partire dalla sua relatrice, l'ex senatrice Emanuela Baio, a definire questa legge un fallimento: quasi sempre il genitore collocatario, quello cioè col quale i figli vivono, risulta la madre, secondo uno schema che ricalca la tendenza precedente dell'affidamento esclusivo. «Se si calcola la distribuzione delle ore, si scopre come dietro alla formula dell'affidamento condiviso vi sia una disparità incresciosa tra il genitore collocatario e l'altro», lamenta Marco Pingitore, psicologo, psicoterapeuta, presidente della Società italiana scienze forensi. «All'atto pratico, al di là del nome, non ci sono grosse differenze rispetto a prima della legge, soprattutto nei casi conflittuali», conferma D'Angelo. «Il genitore collocatario è di fatto quello che decide, l'altro è costretto a subire. Non c'è un'effettiva parità di ruoli, com'era invece nelle intenzioni della legge».

«Per risolvere tanti conflitti basterebbe applicare con più coraggio l'articolo che prevede sanzioni pecuniarie per l'ex coniuge che violi le norme»

Tutta colpa dei giudici?

Non a caso l'Italia è il Paese europeo più sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per la violazione dell'articolo 8 che sancisce, tra l'altro, il diritto del papà separato a una vita affettiva e familiare. L'ha mostrato bene il pediatra Vittorio Vezzetti che, in una ricerca presentata all'Onu e al Parlamento europeo, definisce l'Italia fanalino di coda di un'Europa che si sta allineando a marce forzate alla formula dell'affido "materialmento condiviso", in cui padre e madre condividono in misura equa, se non uguale, il tempo con i figli. «Secondo gli esperti riduce i potenziali danni psicologici nei bambini ma anche, banalmente, la violenza del conflitto». «Negli anni ho lottato per ottenere sempre più tempo con mia figlia», ricorda Gianfranco, 50 anni, divorziato da dieci. «Ho dovuto conquistarmi la fiducia della mia ex, imparare il mestiere della cura, sacrificare il lavoro, ma è la scelta migliore che abbia mai fatto». Gianfranco fa parte purtroppo di una felice minoranza. «Prevale ancora il dogma della maternal preference», spiega Pingitore, «che preferisce assegnare soprattutto i bambini molto piccoli alle cure quasi esclusive della madre. Si pensi però a quanti bambini sotto i tre anni passano le giornate coi nonni o le baby-sitter». Per l'avvocato D'Angelo: «I giudici fanno quello che possono, i genitori dovrebbero essere i primi a porsi il problema e responsabilizzarsi».

«Dietro alla formula della condivisione si nasconde una grave disparità tra il genitore collocatario e l'altro»

La solitudine del giorno dopo.

«Sono separata da tre anni», racconta Camilla, mamma di due bambine. «Davanti al giudice io e il mio ex abbiamo optato per lo schema classico che assegna al papà un weekend su due e un giorno fisso alla settimana. All'inizio, con fatica, lo abbiamo fatto funzionare, ma piano piano lui ha cominciato a disattendere i suoi impegni. Non so come richiamarlo al dovere, se non riportandolo davanti al giudice. Eventualità che mi fa molta paura». «Dopo l'accordo davanti al giudice», riconosce D'Angelo, «i genitori si trovano spesso soli ad applicare le regole». «In qualche tribunale è stata istituita la figura del coordinatore genitoriale», aggiunge Pingitore, «ma non si capisce che profilo debba avere o chi lo debba pagare. Stesso problema per i mediatori, che spesso non hanno la preparazione giusta per gestire i conflitti e rischiano di far perdere tempo e soldi ai coniugi».

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La famiglia del film Mamma o papà?

I soldi spesso sono anche la materia che incendia il conflitto.

L'assegno "perequativo", previsto «ove necessario» nel testo della legge, è divenuto regola. La legge, ottimisticamente orientata verso l'affido materialmente condiviso, immaginava un orizzonte in cui ogni coniuge contribuisse di buon grado ai fabbisogni dei figli attraverso il cosiddetto mantenimento diretto. «Ma, a meno che le parti non lo richiedano esplicitamente, non ho mai visto un giudice disporlo», confessa l'avvocato D'Angelo. Un altro grosso motivo di contenzioso sono le spese straordinarie, «perché non ci sono criteri fissi che le regolino, ogni tribunale ha la sua interpretazione». Anche per questo i giudici optano per l'assegno, allineandosi ancora una volta sulla continuità con ciò che avveniva prima della legge 54/2006. Che ora c'è ed è buona, purché applicata, questa è la conclusione unanime. «Basterebbe ricorrere davvero all'articolo 709 ter», insiste D'Angelo, «che prevede sanzioni al genitore che viola gli accordi». Ma giudici, avvocati, mediatori possono solo orientare, consigliare: più di tutto serve il senso di responsabilità dei genitori: nessuno può entrare con più sollecitudine e cura di loro nell'intimità dolente delle famiglie spezzate.

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Un\'altra scena del film Mamma o papà?

Silenzio, parlano i figli

Tra i disegni di di modifica della Legge 54/2006 allo studio, c'è la proposta di istituire la nuova figura dell'"avvocato dei figli". «Si ritiene che i minori possano essere a loro volta una parte nel contenzioso», spiega l'avvocato D'Angelo, che però non è favorevole alla proposta. «Sono convinta debbano essere sempre i genitori a farsi carico della responsabilità della crescita dei figli, l'inserimento di una terza parte nel dibattito rischia di introdurre più confusione. Più corretta è invece la normativa sull'ascolto dei figli, modificata dalla legge sulla filiazione del 2002. Già attuata da molti tribunali, è uno strumento utile nei contenziosi più aspri. I ragazzi vengono ascoltati lontano dalle parti e dai loro rappresentanti, dal giudice direttamente o da un esperto incaricato: la loro posizione è spesso dirimente, a meno di situazioni gravi, l'idea che emerge praticamente sempre è il desiderio di mantenere un rapporto con entrambi i genitori».