Bologna è una città che ti fa venire voglia di darle del tu. Chiunque ne parli, bolognesi da generazioni o partenopei adottati, per descriverla usa aggettivi solitamente riservati a un famigliare o a un amico carissimo (il regaz). Chi sei Bologna? Bologna è una città d’acqua e di campagna, oggi tra i centri enogastronomici più visitati al mondo, patria di tante eccellenze che non se la tira per niente.

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Sergio Amiti//Getty Images

Lo scorso weekend l’umidità saporita di Bologna - prodotta dai litri di brodo di carne cucinati nelle sale affrescate di Palazzo Re Enzo, che in occasione della settima edizione del Festival del Tortellino si trasforma in un salotto buono - si sentiva in tutta piazza del Nettuno. D’altronde Bologna (o Modena?) è il tortellino - a tutti gli effetti rubricabile tra gli “oggetti di design” prodotti in serie più riusciti di sempre che meriterebbe un premio tipo compasso d’oro, il mignolo d’oro! che poi è il segreto per chiuderli in un’asola perfetta. Bologna è una città che fa venire voglia di dare del tu ai suoi chef. A Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore (e ai suoi tortellini in brodo di manzo e gallina), a Massimiliano Poggi (e ai suoi tortellini in brodo di carne), a Francesco Carboni del ristorante Acquapazza (e ai suoi tortellini con ripieno di razza e acciuga su bisque di funghi porcini e champignon); ad Aurora Mazzucchelli del ristorante Marconi (e ai suoi tortellini al parmigiano reggiano al profumo di lavanda, noce moscata e mandorle), e a Mario Ferrara della trattoria Scaccomatto e ai suoi tortellini con ripieno di vitello e mortadella in crema di brodo e parmigiano e funghi porcini, cinque dei 24 cuochi presenti al TourTlén.

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Il tortellino di Bologna alias un capolavoro da preservare dai tarocchi. Come? “Dipende da quello che ci metti dentro”, ci racconta Carlo Alberto Borsarini, presidente dell’Associazione che da sette anni organizza TourTlén, e cuoco del ristorante La Lumira di Castelfranco Emilia. “Bisogna circoscrivere la provenienza degli ingredienti”, continua Borsarini, chef dotato di grande orgoglio agricolo, “e tracciarla solo così faciliteremo l’identificazione e riusciremo a ottenere la DOP”.

Ma Bologna è (anche) il suo tartufo. “Il mio primo cane da tartufo l’ho comprato a 17 anni per sei milioni di lire guadagnati lavorando come benzinaio alla Total di Casalecchio”. Luigi Dattilo, presidente dell’Appennino Food Group di Savigno (o Val Samoggia), a tartufi ci va dal 1987. E da quel 1987 la passione per la caccia al tartufo si è trasformata in un business a filiera cortissima prima, in un’azienda in attivo smagliante poi. Forse l’unico uomo di campagna in grado di spiegare come nasce il tartufo all’uomo della strada: “il Supradyn ricarica sta all’organismo come il tartufo alla pianta, cioè il tartufo supporta la pianta che soffre. Se la pianta non soffre il tartufo non nasce”. Non solo Appennino Food Group, lo sviluppo della cultura del tartufo è supportato anche dall’Associazione Nazionale Città del Tartufo che accoglie 57 eccellenze che attraverso il loro oro bianconero promuovono il territorio. Educazione capillare e un obiettivo: la certificazione del tartufo a bene immateriale Unesco. “Abbiamo presentato la candidatura nel 2012”, spiega il presidente Michele Boscagli, “ora siamo in attesa della certificazione ufficiale”. Non solo l’Associazione Nazionale Città del Tartufo, lo sviluppo della cultura del tartufo è incentivato dallo Steve Jobs dell’industria gastronomica italiana Oscar Farinetti: “Ho avuto la sfacciata fortuna di nascere ad Alba quindi qualcosa sui tartufi la so”, commenta il patron di FICO, “abbiamo il vino ma non siamo i soli, abbiamo l’olio ma non siamo i soli, abbiamo il formaggio ma non siamo i soli, quello che abbiamo solo noi è il tartufo bianco. Quindi fermiamoci a riflettere e pensiamo perché raccontare e tutelare le eccellenze di questo Paese è così importante: perché sono una calamita bestiale per il turismo che dobbiamo portare nel circuito della biodiversità, nel circuito del tartufo. Vi dico due cifre per farvi capire il peso dell’interesse del mondo: da Eataly al FlatIron Building a New York si vendono un milione di dollari di tartufo bianco l’anno e io ho mio figlio che da là ogni giorno mi manda le foto della coda di gente in fila per comprarlo. Fate voi”.