La notizia è che il 13 marzo 2017 quattro deputate del PD hanno depositato in parlamento una proposta di legge per introdurre in Italia il congedo mestruale, ovvero 3 giorni di permesso pagati al mese per quelle donne (che i dati danno intorno al 60% della popolazione femminile italiana in età fertile) che soffrono di dismenorrea. Ergo, dolori molto forti che per il 30 di chi ne è vittima diventano addirittura invalidanti.

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Se, quindi, più o meno tutte subiamo ogni dannato mese la non simpaticissima sindrome pre mestruale, alcune di noi un po' più sfortunate devono pure fare i conti con, concedete il francesismo, un male boia che non dà tregua per i terribili primi 3 giorni di ciclo. Ecco perché, pur non riferendosi a malattie tremende come l'endometriosi, le deputate hanno ritenuto giusto chiedere questo congedo per le lavoratrici sia del settore pubblico che privato, con contratto a tempo indeterminato, subordinato e parasubordinato, full o part time.

Eppure parecchie donne hanno storto il naso. Perché è una misura portata avanti da pochissimi Paesi nel mondo (Giappone, Taiwan, Indonesia, Sud Corea), che lo fanno in modo apertamente paternalistico, perché nessuno di questi Paesi è un caso di successo, né in termini di occupazione femminile né per le pari opportunità, e infine perché un congedo mestruale alimenterebbe inoltre la percezione, o quanto meno consentirebbe a molti di ribadire, che per alcuni giorni al mese, tutti i mesi, le donne siano psicologicamente più labili, meno produttive e meno razionali.

Insomma, quello che agli occhi di alcune è una grande notizia, sinonimo di progresso e sostenibilità sociale, per altre è una trappola insidiosa che ridà slancio a vecchi stigmi. E capire da che parte schierarsi, confessiamo, non è poi così semplice.