Si è chiuso da poco ottobre, il mese della prevenzione contro il cancro al seno, e nel corso dei tanti appuntamenti a cui abbiamo partecipato, dedicati alla diagnosi precoce ma anche alla sensibilizzazione, magari ci siamo anche imbattute nelle storie delle tante donne che hanno dovuto affrontare nella loro vita questa malattia. Ma ci sono storie che purtroppo ancora non vengono ancora raccontate, e che riguardano le donne che riescono a guarire.

Ci si aspetta infatti che dopo la guarigione cominci un felice periodo in cui tornare a vivere, giorno dopo giorno, invece tocca scontrarsi con un muro insidioso: il rientro al lavoro. Che dovrebbe essere proprio l'attimo in cui si riprendono finalmente in mano tutte le fila della propria esistenza, ma che per molte (e molti) è il momento in cui inizia un nuovo calvario. Sempre che, come è successo a Patrizia, a Simona, a Vincenzo, e a tutti gli altri, non si venga licenziati prima per troppe assenze. Come se il cancro fosse semplicemente un periodo di vacanza alle Maldive.

Se consideriamo che nel 2015 un paziente oncologico su tre è stato colpito dal cancro in età lavorativa i dati relativi ai licenziamenti per superamento del cosiddetto periodo di comporto, ovvero il numero massimo di giornate di malattia di cui si può usufruire senza rischiare di essere lasciati a casa (che variano in base al contratto collettivo nazionale), sono inaccettabili, e non parliamo poi della disgraziata situazione in cui versano i lavoratori autonomi, che spesso sono costretti a interrompere l'attività perché le lunghe assenze hanno fatto perdere loro i clienti.

Lavoro dopo cancro, datipinterest
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Per quanto riguarda il solo tumore al seno un rapporto dell'Economist Intelligence Unit commissionato da Pfizer (eiuperspectives.economist.com) ha mostrato recentemente che l'Italia è al sesto posto in Europa per tasso di incidenza (162,9 casi di tumore al seno per 100mila donne), un dato superiore rispetto a quello dei altri Paesi dell'Europa meridionale (102,4 casi), e nel 2016 (dati elaborati da uno studio di Europa Donna Italia) su 122 donne la metà ha avuto problemi nel tornare al lavoro, e il 24% ha avuto difficoltà nell'esercitare i propri diritti oppure è stata penalizzata. Un altro dato ce lo offre uno studio condotto nel 2012 dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato (favo.it) in collaborazione con il Censis, che mostra come su un totale di un milione di pazienti guariti ben 274mila siano stati licenziati, costretti al pensionamento o alle dimissioni.

Nel 2015 il deputato Pd Vincenzo d'Arienzo ha portato alla Camera dei Deputati una proposta di legge per una maggiore tutela del malato oncologico, ma la strada da percorrere sembra essere ancora lunga: allo stato attuale delle cose la legge prevede sì qualche tutela, come la possibilità di essere assegnati ad altre mansioni, di richiedere un trasferimento oppure un periodo part-time, ma bisogna avere dall'altra parte anche un datore di lavoro accorto e disponibile. A Patrizia, Simona e Vincenzo, lo abbiamo visto nelle pagine di cronaca, non è andata bene perché hanno dovuto ricorrere alla giustizia per far valere i loro diritti, e a pensarci viene solo una grande rabbia. Perché, pensiamo, basterebbe così poco.