Più che prematuri, il termine esatto per definirli è neonati pretermine: sono i bambini nati prima della 37esima settimana di gestazione che pesano meno di 2.500 g. In Italia se ne contano 40/50.000 all'anno (circa 500.000 nascite): di questi, 5.000 non raggiungono i 1.500 g. Le cause? «Influisce l'età delle mamme, se sono troppo giovani oppure over 35», precisa Mauro Stronati, presidente della Sin (Società italiana di neonatologia). «Sono a rischio anche le gravidanze gemellari, probabili con la procreazione medicalmente assistita: più sono i feti, più il peso diminuisce. Influiscono anche i problemi legati al parto o alle condizioni dello stesso feto, come infezioni, rottura prematura delle membrane, ritardo di accrescimento». Un neonato pretermine ha problemi respiratori, metabolici, cardiocircolatori e si raffredda facilmente (per questo va isolato in una culla speciale), ma per fortuna, grazie alla medicina, oggi se la cava più di ieri. «Se nel 1960 il 78 per cento moriva, oggi capita solo al 14 per cento. Quelli che hanno una qualità di vita a rischio sono i nati dalla 22esima alla 25esima settimana con un peso intorno ai 500 grammi», aggiunge Stronati.  E gli altri? Crescendo, l'84 per cento ha una vita normale (nel 1960 era il 26,8 per cento), il 5 per cento ha  handicap anche gravi. 

La testimonianza di una mamma: Lorisa Marandola

«C'è un tempo perfetto per venire al mondo: Luca, il mio bimbo di 10 anni, ha scelto il momento che gli ha consentito di salvarsi la vita. Ero alla 34esima settimana di gravidanza, avevo 33 anni e la pressione troppo alta per la gravidanza. Dalla mia casa di Cervaro, in provincia di Frosinone, vado il più in fretta possibile al Policlinico Gemelli di Roma, dove scopro che Luca ha la testa un po' più grande del normale per via di una grave idrocefalia post emorragica triventricolare. Risultato: non c'è più tempo per tenerlo nel pancione, devo partorire. E in fretta. Il neonato che viene al mondo pesa 2.760 grammi, respira senza macchine, ma resta per tre mesi nel reparto di terapia intensiva neonatale. In quei giorni realizzo che la nascita anticipata e i ritardi cognitivi e motori di mio figlio sono stati causati dall'emorragia cerebrale avuta in gravidanza, della quale nessuno si era accorto nel primo ospedale dove mi ero recata. Ben presto realizzo che, ogni giorno, il reparto in cui è ricoverato Luca è una pagina bianca dove scrivere speranze, potenziali infezioni, interventi chirurgici: quelli subiti per il blocco intestinale e la peritonite e quello alla testa nel reparto di neurochirurgia. Dopo quattro mesi, torniamo tutti a casa: io, mio marito Fabio e nostro figlio Luca, che ha un tubicino dalla testa all'intestino per smaltire il liquido accumulato in eccesso. Al di là degli aiuti dei parenti, la famiglia siamo noi.

Passano gli anni e Luca cresce: adesso ha problemi di vista legati al parto pretermine, trascina la gamba destra e non può usare la mano corrispondente a causa dell'emiparesi. Cammina da solo, ma deve appoggiarsi. È un bimbo allegro e quando sale sullo scuolabus lo è ancora di più. Adora tablet e computer, immagino che sogni a occhi aperti nel suo mondo a misura di touchscreen. 

Il pomeriggio fa le terapie a casa con fisioterapista e logopedista: le paghiamo noi e costano 35 euro all'ora. Anche i suoi piccoli progressi li festeggiamo solo noi: quando ha imparato a masticare, dopo la riabilitazione, è stata una conquista. E pensare che dai medici non avevamo ricevuto incoraggiamenti. «Dipende tutto dall'evoluzione della patologia, dalla sua reazione», ci dicevano. Il viaggio è ancora lungo, ma viviamo alla giornata: crescere un bimbo prematuro è una battaglia quotidiana. Quando un bimbo con dei problemi compie due anni, la situazione peggiora perché in ospedale non possono seguirti più e non tutti i pediatri sono preparati. Perciò ci siamo uniti a Genitin, una onlus creata da genitori di bimbi prematuri che vogliono far conoscere queste problematiche, aiutare chi cerca ospitalità in appartamenti vicino al Policlinico Gemelli, finanziare progetti di riabilitazione.

La maggior parte della gente liquida la questione dei bimbi nati prima del termine con un «Vabbè è più piccolino, poi cresce e te lo scordi». Invece i giorni, le ore, persino i secondi dentro le terapie intensive neonatali non te li scordi mai più: i genitori si alternano per vedere il bimbo un'ora al pomeriggio e un'ora la sera, aspettano uniti, fuori. Nessuno immagina, però, che ogni neonato che esce da lì è più forte. Più di ogni aspettativa: sì, i bimbi sono forti, ringraziateli».