L'attacco all'aborto di Donald Trump fa notizia: il neo presidente Usa con uno dei suoi primi atti ufficiali ha sospeso l'erogazione dei fondi federali alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o forniscono informazioni sull'aborto nel mondo (un provvedimento del 1984 di Ronald Reagan, poi sospeso da ogni presidente democratico, l'ultimo è stato Barack Obama nel 2009). Donald Trump incassa così il plauso dei vescovi statunitensi e scatena l'indignazione delle donne, ma sul fronte del diritto all'aborto c'è da preoccuparsi anche in Italia. Conviene non abbassare la guardia, perché la legge 194 non riesce a garantire il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza. Ma andiamo con ordine.

A., una giovane donna che vive in Campania, dopo aver cercato inutilmente nella sua provincia una struttura ospedaliera che fornisca il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (ivg), da una settimana si alza tutte le notti alle 4, prende il suo bimbo piccolo, lo carica in macchina e va in un'altra città della regione per mettersi in fila non più tardi delle 5,30, nella speranza di poter prenotare l'intervento. Il problema è che ha ancora sei giorni prima che scadano i termini legali per abortire. Se non dovesse riuscirci in tempo, che cosa farà? Potrà tenere il bambino, ma non se lo può permettere; oppure troverà canali alternativi ed entrerà nell'opacissimo mondo dell'aborto clandestino, di cui non ci sono dati certi, solo proiezioni. Quasi come se non esistesse.

L'aborto clandestino è una realtà in Italia

«L'aborto clandestino esiste eccome», dice Silvana Agatone, ginecologa all'ospedale Pertini di Roma e presidentessa della Laiga, Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge 194. «Anzi, ne esistono due tipi. Quello "d'oro", che riguarda donne italiane di alto livello sociale che, per evitare attese e per motivi di riservatezza, vanno in cliniche private dove le ivg sono fatte passare per aborti spontanei. E quello, ben più drammatico, che riguarda le donne che non hanno soldi né vie alternative ».

Non si parla più di mammane o ferri da maglia, oggi l'aborto è il più delle volte "fai da te", meno cruento, ma non per questo più sicuro: lo si compie ingerendo farmaci come il Cytotec, un anti ulcera che a dosi massicce compromette la gravidanza. Sono medicinali che si comprano online, al mercato nero vicino alle stazioni delle grandi città, o anche in farmacia, con una ricetta che non è difficile procurarsi. «Le nigeriane ormai abortiscono solo così», racconta un'operatrice di On the road, una onlus che si occupa di donne vittime di tratta nella zona di Fermo, nelle Marche.

«Spesso sono ragazze molto giovani, con meno dei 18 anni che dichiarano. Alcune arrivano in Italia già incinte per le violenze subite in Libia. Sono le loro stesse sfruttatrici a fornire i farmaci, magari quando è troppo tardi». La conseguenza? «L'espulsione non riesce del tutto e le ragazze arrivano in ospedale con setticemie», spiega Silvana Agatone. «L'altro giorno una aveva preso un cocktail di medicine che le aveva indotto sì l'aborto, ma anche un'emorragia incontenibile e un'alterazione cardiaca grave. Noi medici abbiamo capito che cosa era successo, ma lei non ha ammesso niente».

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Difficile biasimarla: dal 15 gennaio 2016 è stata aumentata la multa per chi si sottopone ad aborto clandestino da 51 euro a una cifra tra i 5.000 e i 10.000 euro. Le denunce saranno ancora più rare. «È un provvedimento assurdo: l'aborto clandestino è un reato per chi lo compie, non certo per chi lo subisce», sottolinea la dottoressa Anna Uglietti, che fino allo scorso luglio è stata responsabile dell'ambulatorio 194 alla clinica Mangiagalli di Milano. Contro questo decreto si sono mosse associazioni di ginecologi e femministe, che hanno scritto una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, e si è mobilitata la Rete con l'hashtag #obiettiamolasanzione

Il verbo "obiettiamo" non è scelto a caso

All'origine degli aborti clandestini c'è spesso l'inadempienza di molte aziende ospedaliere a fornire quello che per la legge 194 sarebbe un servizio obbligatorio: l'interruzione volontaria di gravidanza. Il motivo? La diffusissima presenza di medici obiettori. In Italia, la media degli obiettori è di circa il 70 per cento, con regioni dove si supera il 93. «Se a Milano e a Roma il servizio funziona, pur con ritardi e vuoti, in tutto il Lazio meridionale le donne sono costrette ad andare a Caserta. O a trovare soluzioni alternative», avverte la dottoressa Agatone. Complica le cose il fatto che moltissimi medici non obiettori, che hanno iniziato a lavorare negli anni in cui la lotta per il diritto all'aborto era infuocata, stiano ormai andando in pensione.

«Oggi le tecniche ecografiche hanno portato un'attenzione inedita sul feto ed è più difficile per le nuove generazioni porre al centro del proprio oggetto di cura la donna», spiega la dottoressa Uglietti. «Invece bisognerebbe insegnare che l'etica del ginecologo implica il dovere di assistere la donna in tutti i momenti della vita e questo è un momento che può capitare. La maggior parte dei medici obiettori, del resto, non considera l'aborto un crimine, però non vuole "compromettersi"». Il risultato è che in alcune zone d'Italia, specie al sud, è quasi impossibile ottenere una ivg. «Purtroppo ci sono ospedali in cui c'è un unico non obiettore che si trova a fare solo ivg, un lavoro per nulla gratificante: a questo punto l'obiezione diventa l'unica via di uscita. La responsabilità però è anche di chi risponde dell'applicazione della legge in termini dirigenziali, dal primario al direttore sanitario alla regione». E se la legge non è applicata, se non si dà alle donne la possibilità di abortire in sicurezza, le donne lo faranno come potranno. Anche ingerendo una manciata di pillole comprate online.

Quello che i numeri non dicono sull'aborto in Italia

I dati di solito parlano chiaro, ma non in questo caso. Nel 2014 le ivg sono diminuite del 5,1 per cento rispetto al 2013. Un successo? No. «Gli interventi calano perché in alcuni ospedali non è più erogato il servizio», chiarisce la dottoressa Agatone. «È la domanda che va monitorata, registrando anche quella nei consultori. Dove finiscono le donne che hanno chiesto di abortire e poi spariscono?». Dati precisi non ci sono. «Il ministero ha un modello statistico vecchio, da cui ricava che l'aborto clandestino è da anni a livelli molto bassi. In realtà questi calcoli non sono accurati, bisognerebbe trovare un indicatore scientifico su cui puntare lo studio: per esempio l'aumento dell'aborto spontaneo nelle donne giovani non sposate». Insomma, la dimensione dell'aborto clandestino si potrebbe calcolare? «Sì, studiando la domanda e valutando l'offerta data, e anche trovando indicatori adeguati. Solo che nessuno vuole fare questo studio».