Giù, sempre più giù, fino a sentirsi senza forze né volontà. È in questo terreno che germoglia il seme della depressione, malattia che colpisce 322 milioni di persone, spesso a partire dalla pubertà, e a cui è dedicato il 7 aprile 2017, Giornata mondiale della salute. Per dire con una campagna dell'Oms che dal "mal di vivere" si può guarire. Non minimizzando i sintomi e con terapie personalizzate.

«Avevo sei anni quando mia madre è entrata nel buco nero della depressione», racconta Eleonora, adolescente milanese in cura per la stessa malattia. «La mamma restava a letto per settimane, non ce la faceva ad occuparsi di noi. Quando ha iniziato a stare meglio, avevo 11 anni e sono diventata anoressica. Grazie alle cure – antidepressivi e psicoterapia – in tre anni ho superato i disturbi del comportamento alimentare: studiavo, avevo un ragazzo, uscivo con gli amici. Ma la partita non era chiusa: all'improvviso mi sembrava che nulla avesse un senso. Di nuovo, il buio è passato, ma questo altalenare è continuato: dopo due-tre mesi di normalità, il mio malessere si ripresentava. Così ho chiesto aiuto».

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Una situazione, quella di Eleonora, più comune di quel che si pensi: in tutto il mondo, infatti, ben 322 milioni di persone soffrono di questa patologia, alla quale l'Organizzazione mondiale della sanità ha dedicato la campagna Depressione: parliamone! in occasione della Giornata mondiale della salute (7 aprile).

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Giovani più a rischio depressione

«La struttura del carattere di Eleonora si è formata sulla "paralisi" esistenziale della mamma che l'ha costretta a "crescersi da sola", senza chiedere nulla», spiega la psicologa Daniela Uslenghi, direttrice dell'Istituto Hoffman di Milano (istitutohoffman.it). «Accollandosi il peso della salute materna, Eleonora si è programmata ad affrontare i dolori degli altri ma non i suoi. E la mamma le ha trasmesso questo messaggio: se sei depresso, stai talmente male che non devi più occuparti di niente. Scivolare nello spazio depressivo, per lei, ha quindi significato ottenere l'autorizzazione a ritrarsi dai carichi del mondo. In terapia, dovrà chiedersi: come posso prendermi degli spazi di cura di me senza dovermi far autorizzare dalla malattia? E, soprattutto, dovrà rinunciare alla fuga: invece di scappare dalla sofferenza, dovrà imparare ad ascoltarla come un importante segnale che la riconduce a se stessa. Purtroppo, i ragazzi d'oggi sono figli di una cultura che ha disconosciuto la fisiologicità del dolore e li ha lasciati privi delle risorse necessarie ad affrontarlo. Così, anche se raramente troviamo negli under 18 una depressione maggiore, sono sempre più diffusi quegli stati depressivi reattivi che derivano dall'incapacità di gestire la naturale angoscia del crescere, la tristezza delle prime delusioni affettive, l'insicurezza che incombe, oggi più che mai, sulla vita. Manca, nell'educazione familiare e scolastica, l'istruzione su come affrontare la sofferenza che, riconosciuta e ritualizzata nelle culture tradizionali, nella nostra viene rifiutata

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La strada dell'ascolto

La campagna dell'Organizzazione mondiale della sanità sottolinea proprio questo aspetto di reintegrazione: bisogna riconoscere la malattia e parlarne. «I sintomi non vanno minimizzati perché, più li "mandi via", più rischi che, a un certo punto, diventino devastanti», sottolinea l'esperta. «Purtroppo, nei ragazzi il meccanismo di fuga è comune: abbiamo trasmesso alle nuove generazioni il rifiuto di ciò che fa star male. Ma il dolore della psiche è una sana risposta alle situazioni problematiche, una reazione primaria che, negata, diventa meno gestibile perché la psiche accumula. Ed è da questi accumuli di paure e rabbie inespresse che germoglia il seme della depressione». Se i giovani sono le nuove vittime del mal di vivere, le categorie più soggette restano gli anziani e le donne. Nel gentil sesso l'incidenza è del 5,1 per cento contro il 3,6 per cento degli uomini ma, secondo un'indagine di O.N.D.A (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), 17 donne su 100 non chiedono aiuto. Più che temere per se stesse, infatti, si preoccupano di non riuscire a tener testa agli impegni quotidiani. A qualsiasi età, comunque, oggi di depressione si può guarire. Ecco alcuni strumenti utili.

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Terapie farmacologiche contro la depressione

I farmaci più utilizzati sono gli antidepressivi di nuova generazione. «La loro funzione è facilitare l'aumento dei neurotrasmettitori del buon umore (serotonina, noradrenalina, dopamina)», spiega Claudio Mencacci, presidente della Sip (Società italiana psichiatria) e direttore del Dipartimento di neuroscienze dell'Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano. «Vanno assunti per almeno sei mesi e danno i primi effetti dopo tre-quattro settimane». La tendenza è associarli alla psicoterapia, così da abbassare il rischio di ricadute (che colpiscono 65 persone su 100). «Il trattamento farmacologico e quello psicoterapico insieme aumentano il tasso di successo fino all'80 per cento, e sono particolarmente indicati nelle forme di depressione protratte».

Medicina di precisione

Mira all'utilizzo di farmaci più adeguati perché, secondo i dati presentati all'ultimo convegno promosso dalla Sip (Società italiana di psichiatria), uno dei motivi che rendono "difficile" la guarigione è che solo un terzo dei pazienti riceve cure adeguate. «Alcuni farmaci hanno effetti positivi sui sistemi cognitivi, altri sul controllo dell'appetito e così via: conoscere le caratteristiche individuali, può aiutare a personalizzare la cura», continua Mencacci. Allo scopo di migliorare diagnosi e terapia si utilizzano strumenti innovativi come la raccolta di dati genetici per la valutazione della predisposizione individuale; i biomarcatori predittori della risposta ai farmaci (per esempio la proteina C reattiva, che può indicare una maggiore o minore efficacia di alcuni antidepressivi); il neuroimaging per il monitoraggio computerizzato della patologia in risposta alle cure.

Come affrontare la depressione con le diverse psicoterapie

Esistono diversi approcci psicologici (cognitivo-comportamentale, interpersonale, psicodinamico, fenomenologico) ma tutti agiscono modificando convinzioni, pensieri o abitudini disfunzionali al benessere emotivo. «I dati clinici indicano una percentuale di successo del 30-35 per cento con la sola psicoterapia», precisa Mencacci. «Generalmente è indicata nelle forme depressive lievi, reattive o situazionali, scatenate cioè da eventi specifici e limitati nel tempo, quali stress, lutti, conflitti personali». La terapia psicologica può essere coperta dal servizio sanitario nazionale, purché ci si rechi in un centro convenzionato con la richiesta del medico curante oppure nei centri psicosociali della propria Asl di zona.