La serie The affair ha tenuto incollati alla tv più di mezzo milione di spettatori per 4 stagioni (la 5a è in lavorazione ed è ancora mistero sui nuovi ingaggi dei protagonisti). Perché era ben fatta, certo, ma soprattutto perché conteneva in sé la “formula” delle relazioni amorose, dove l’amor plat, scevro di contraddizioni e tumulti, cede il posto all’amour foux, e le frecce di Cupido diventano vettori impazziti. Ed ecco che A ama B, che però ama C e via così, in una specie di catena vischiosa dove tutti sono legati, ma con incastri sbagliati.

Una tragedia? Più che altro la dimostrazione che sì, è vero, siamo tutti il grande amore di qualcuno ‒ come scriveva Andrew Sean Greer (Le confessioni di Max Tivoli, Adelphi) ‒ solo che questo qualcuno, probabilmente, non è altrettanto per noi. Un disallineamento struggente, una specie di perenne disequilibrio dai tratti quasi comici. Consolante da un lato, perché da qualche parte c’è chi ci sta ancora pensando. Disastroso dall'altro, poiché vuol dire che di rado rimaniamo con l’amore della nostra vita. «È vero», ammette Roberta Rossi, psicologa e sessuologa, «nell’amore c’è una certa non completa reciprocità. L’amore, alla fine, è qualcosa di molto individuale: l’altro attiva in noi corde e investimenti molto personali».

Dunque, in una relazione, spesso non siamo coinvolti nello stesso modo. C’è sempre una parte che costruiamo da soli, una proiezione, un gioco di specchi. Succede in virtù dell’altro, che è essenziale a questo processo, ma quasi suo malgrado. E non accade ‒ con la forza prepotente che ci fa dire: "È lui l’uomo della mia vita" ‒ nemmeno tanto spesso. Spiega Rossi: «Quello che consideriamo il grande amore, l’amore travolgente, è un mix di sensazioni fisiche, fisiologiche e sentimentali. Ed è difficile che si possa ripetere con la stessa intensità». Quindi il grande amore è uno, e basta? Sconforto. «In un certo senso sì», continua Rossi. «Però questo non vuol dire che nella vita non si possano avere altri amori, anche molto profondi, o che si debbano svilire le storie che magari funzionano benissimo nel tempo e nella quotidianità. Attenzione, infine, ai confronti continui. E all'idea di lieto fine».

Certe cose importanti te le devi portare dentro, insomma, che tanto forse non puoi fare diversamente. Si tratta, pare di capire, di non considerare il "vissero felici e contenti" come unico metro possibile. Ragionare per momenti, per stagioni, che hanno senso compiuto anche solo perché sono esistite. O perché esistono, nel presente, e sono fatte di altro, di un’altra materia, di altri bisogni. Non è consolatorio. È preferire vivere. Pensare: grazie che ci siamo incontrati. Comunque.

La testimonianza di Anna, 48 anni

«Ce l’avrai pure tu un’asticella, no?». La mia amica Claudia è così, butta lì delle cose che poi tu ci pensi per settimane. «Che?», faccio io. «Ma sì», spiega lei, «una specie di limite massimo, di altezza oltre la quale ogni altra storia non riesce ad andare. La tacca inarrivabile sul muro delle tue aspettative». Accidenti, ha ragione. La mia asticella si chiama Andrea. E non è mio marito. Quella di Claudia, Matteo. Lo so perché mi ‒ ci ‒ ha stancato con Matteo, che era l’uomo della sua vita. Poi però ha sposato Giulio. Amen. Il problema è come la racconti. Perché, detta così, è brutta. Sembra che uno per tutta la vita si accontenti di altro. Non è questo. Ci sono persone fondamentali che ti danno tutto, tutto insieme. Andrea, per me. E ci sono persone con le quali fai dei lunghi tratti di strada, sono giuste per quello. La vita è molto più storta e complessa della narrazione lineare e continua che pretendiamo di farne. Procede invece per blocchi, per stagioni. Non mi piace tanto la storia delle asticelle. Mi sembra che ci rimani dentro, prigioniero. Preferisco quella frase di Tahar Ben Jelloun ‒ com'era? ‒ "l’ultimo amore è sempre il primo".

La testimonianza di Isabella, 40 anni

È che uno non dovrebbe mai saperlo. Invece un giorno io ho sentito mia suocera e mia cognata che parlavano in cucina e dicevano: «Laura è stata il suo grande amore». Di mio marito. Che, poi, cosa significa? Era una mezza frase, forse parlavano dei tempi del liceo, forse non ci dovevo nemmeno fare caso. Perché sono adulta e il fatto di sentirmi come una bambina che scopre di non essere il centro dell’universo mi dovrebbe far sentire una stupida. Va bene, sono stupida. Ma mia suocera è una stronza. Non si dice, non si fa. Sono tornata a casa pensando che quella vipera l’aveva fatto apposta, che magari non era nemmeno vero. E ho archiviato la pratica. Il problema, in queste cose, è che quando ormai lo sai sei fregata. Cerchi di raccontarti una storia nella quale tu sei il lieto ne, l’incontro fortunato e risolutivo che l’altro aspettava da sempre. Che poi è la verità, anche. Ci vuole delicatezza. Io non ho mai detto a mio marito che il mio grande amore è stato Vincenzo. Lo amo, non voglio rovinargli la vita.

La testimonianza di Viola, 35 anni

«Tu non sai quanto ti ho amato. Sei stata così importante per me. Sei stata la più importante, la donna fondamentale». Ok, ho pensato, siamo a una festa di matrimonio e lui è ubriaco: sta solo vaneggiando. Ma, quando mi ha confessato queste cose, mi sono sentita morire. Gli ho detto: «Tommaso, dai, non fare così». Volevo fermarlo perché sentivo che, davvero, non era giusto. E lui niente, avanti imperterrito, no alla citazione di Muccino: “Come te nessuno mai”. Mentre lo sorreggevo e lo accompagnavo in bagno pensavo: ma che, davvero? Abbiamo avuto una bella storia, un paio d’anni in tutto, poi ci siamo lasciati («tu mi hai lasciato», chiosa lui, che è sbronzo, ma ribatte punto su punto). Lo guardo, per un attimo il mio ego lusingato gongola. La verità è che io, mentre stavamo insieme, non mi sono accorta di essere il suo grande amore. Perché il mio era il suo amico Francesco, che stava con una che si chiamava Chiara (e che forse era la donna della sua vita?), ma che poi ha sposato me. Tommaso si siede per terra, e ride. Non vuole tornare di là, dalla moglie che‒lo so per certo‒ lo adora. Possibile che siamo tutti sposati con la persona sbagliata? Ok, Tommy, dico, passami la bottiglia che forse hai ragione tu...