L'Organizzazione Mondiale della Sanità le chiama life skills, competenze di vita. Sono quelle capacità personali, emotive e relazionali, che ci consentono di avere un approccio positivo verso ciò che ci capita ogni giorno. Tutto, di fatto, dipende da una mente sana e attiva. Da un cervello che dovremmo allenare come un qualsiasi altro muscolo del nostro corpo, senza temere di essere surclassati dai più giovani, comunemente ritenuti più "brillanti e veloci". 

Come dimostrano le ricerche, infatti, i cervelli adulti e maturi hanno un miglior rendimento quando si parla di risoluzione dei problemi, linguaggio, organizzazione spaziale e memoria verbale. Come dire: per il cervello, l'esperienza e le stimolazioni ripetute nel tempo contano, ed è per questo che dobbiamo continuare a impegnarci. Ecco esercizi e consigli per trasformare il nostro punto di vista. 

Per prima cosa, smettere di autocompatirsi o di dolersi per ciò che accade. Chi si lamenta sempre si autolimita e mette in atto una "profezia" di autoscacco: «Disimparare questo approccio si può, sostituendolo magari con la consapevolezza, scientifica, che il senso della vita non lo si trova, ma si crea. È questo il significato della parola speranza secondo la teoria di Charles Richard Snyder a cui ci ispiriamo, speranza che non è attesa passiva, bensì capacità di creare e modificare la realtà». 

Chi parla è Anna Chiara Scardicchio, ricercatrice di pedagogia e docente dell'Università di Foggia, fondatrice, insieme con Elvira Zaccagnino delle edizioni LaMeridiana, Monica Filograno, docente esperta di didattica laboratoriale, e Vittorio Palumbo, innovatore sociale, della prima HopeSchool italiana a Bari. «Mentre in molti Paesi anglosassoni ci sono percorsi per imparare la speranza anche in contesti universitari, da noi questo pensiero fiducioso è considerato un tema religioso estraneo al rigore scientifico.

Alla HopeSchool, la speranza si apprende studiando. In workshop di un giorno e mezzo si sperimentano, "giocando", le connessioni tra neuroscienze e cinema, fisica e arte contemporanea, filosofia e poesia, antropologia e letteratura. Dal punto di vista neuroscientifico, è come se i cervelli attivassero la loro più grande risorsa, la plasticità, ovvero la capacità di capovolgere la lettura della nostra esistenza. Di vedere il lato positivo anche nelle avversità». 

Del resto, chi non si è alzato in piedi davanti all'ultima esibizione, e insegnamento, di Ezio Bosso? Chi non ammira le capacità di resilienza di Alex Zanardi o Giusy Versace? Bisogna "solo" capire che la speranza non è un dono, ma si può esercitare. Come? Per esempio, tenendo a mente le storie di uomini e donne che hanno ribaltato gli eventi negativi, talvolta tragici, della loro vita. Poi, accogliendo l'incertezza quotidiana e allontanando il bisogno di ordine, razionalità, controllo. Infine, stando vicino il più possibile a arte, poesia, lettura e alle espressioni creative che insegnano al cervello come è possibile affrontare i cambiamenti e apprendere dalle avversità.

Se esiste un coach per tenere in forma il muscolo cervello quello è John Arden, neuropsicologo responsabile della formazione alla salute mentale presso i Kaiser Permanente Medical Centers. Da poco in libreria con Il cervello felice, il medico americano mette a punto un vero programma per la materia grigia, con tanto di diario finale delle attività. E così si scopre che la felicità, che è poi il segno più evidente della salute del cervello, si costruisce con piccole mosse. Per esempio, sforzandosi di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno, da una lingua straniera al gioco degli scacchi, di andare in luoghi mai visti e fare nuove esperienze. Arden la chiama la "creazione della riserva cognitiva" a cui attingere quando ci sarà bisogno di lucidità.

Indispensabile poi, meglio se tutti i giorni e alla stessa ora, il movimento. Stare davanti a uno schermo è buttare via il tempo, scrive Arden, meglio uscire e fare un giro del quartiere: bastano 10 minuti per far nascere nuovi neuroni e "fertilizzare" il cervello. E perché non rafforzare o ampliare le relazioni sociali: incontrare persone, fare volontariato o partecipare a conferenze, è dimostrato, fa persino vivere più a lungo. Infine, il sonno. Curato nella temperatura (mai troppo caldo), nella luminosità e coadiuvato da tecniche di rilassamento, ma con il divieto assoluto di guardare la televisione o mangiare a letto.