L'utero in affitto di sicuro è una faccenda per ricchi. Per lo meno se vuoi fare le cose bene, in modo legale (o quasi) e con tutte le tutele del caso. Avere un figlio attraverso una maternità surrogata, cioè trovando una donna disposta, dietro compenso, a dare alla luce un figlio che non sarà mai suo, costa infatti molto caro. Anche perché, essendo una pratica vietata in Italia, è necessario andare all'estero, là dove invece è permessa (se invece vuoi saperne di più sulla fecondazione assistita, ne abbiamo parlato qui).

«Nei Paesi dell'est asiatico si agisce nella semi illegalità e c'è spazio per lo sfruttamento di donne in stato di grave povertà», dice l'avvocato Ezio Menzione, che si occupa di garantire da problemi legali le coppie che fanno ricorso all'utero in affitto. «Le mete migliori sono gli Stati Uniti e il Canada dove, tramite agenzia, si fanno contratti che non lasciano nulla al caso. Inoltre, un bambino che nasce in Nord America, dove esiste lo ius soli, ha cittadinanza americana o canadese e il suo status di figlio di quella coppia è immediato e intoccabile». Tanta sicurezza si paga: il costo di una maternità surrogata negli Usa si aggira intorno ai 110-120.000 dollari.

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Anche le agenzie che operano nei Paesi dell'Europa dell'est – Russia, Ucraina, Georgia – offrono discrete garanzie. In Ucraina, dove una maternità surrogata costa tra i 30 e i 50.000 euro, il bimbo è registrato come figlio dei due genitori che l'hanno voluto solo dopo che la surrogata ha firmato un atto di rinuncia. Il certificato di nascita in Ucraina però non basta, perché il bambino non è ancora iscritto allo stato civile italiano: bisogna passare attraverso l'ambasciata. «Qui sorgono i problemi perché l'ambasciata segnala alla Procura i probabili casi di maternità surrogata, vietata nel nostro Paese», spiega Menzione. «Negli ultimi anni, queste coppie hanno dovuto affrontare processi penali per alterazione di stato, un reato molto grave. Ma la giurisprudenza è quasi sempre favorevole».

Le mete migliori per la maternità surrogata? Stati Uniti e Canada, dove i contratti sono sicuri e dettagliati.

Chi fa ricorso all'utero in affitto? A parte le coppie formate da due uomini gay, ci sono quelle in cui la donna ha problemi di salute tali da renderle impossibile portare a termine una gravidanza. Più che coppie spregiudicate, sembrano, in questi termini, coppie disperate. E le surrogate? Sono sempre spinte da puro interesse economico? Per capire qualcosa di più abbiamo raccolto le testimonianze di due donne americane che hanno messo a disposizione il loro utero, Corrin e Richelle, e anche di Francesca, un'italiana che, grazie a una postina dell'Ohio, è diventata mamma felice di due gemelli.

CORRIN, 29 anni, sposata, due figli, Laureata in Psicologia.

«Ho partorito una bambina a novembre 2014 per una coppia americana, che ora mi ha chiesto di aiutarli ad avere un secondo figlio. Ho deciso di diventare una surrogata perché le mie gravidanze sono sempre andate bene e so che diventare genitori è la cosa più bella del mondo. Siccome amo aiutare la gente, ho pensato che potevo farlo così. Certo, il fatto di essere pagata aiuta, perché ci sono dei rischi e la tua famiglia deve affrontarli con te.

Psicologicamente non è stato difficile, perché da subito sai che il bambino che senti muovere nella pancia geneticamente non ha niente in comune né con te né con tuo marito.

È come essere una babysitter: stai con un bambino a lungo, vuoi che stia bene, ma non vuoi che venga a vivere con te. Durante la gravidanza, ho sentito i genitori della bimba quasi ogni giorno e ora è nata una vera amicizia.

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«Prima lavoravo in un ospedale psichiatrico, ora preparo le aspiranti surrogate. Qui, come in tutte le agenzie americane, facciamo un'indagine approfondita su di loro: sulla situazione economica, lo stile di vita, la famiglia. Ci sono alcune regole comuni: devi avere almeno un figlio, averlo cresciuto tu, e devi avere una situazione finanziaria stabile. In Usa non si diventa certo surrogate per fame».

RICHELLE, 37 anni, sposata, un figlio, ha una laurea in Neonatologia.

«La mia prima gravidanza da surrogata l'ho avuta nel 2012, è nato un bambino, la sua famiglia è irlandese. Sono ancora in contatto con loro, ogni settimana mi mandano foto, ci vediamo via Skype. Mi chiamano "la mamma americana", lui sa che sono io la persona che l'ha portato alla nascita.

Il Natale scorso ho invece partorito una bambina per una famiglia di San Diego, in California. Loro mi chiamano "zia" e li vedo spesso perché abitano a 80 miglia da casa mia. Abbiamo anche fatto le vacanze insieme.

«Io ho un figlio di 16 anni, ma avevo anche una figlia che non c'è più. Dopo la sua morte, ho avuto bisogno di provare felicità, e offrire la possibilità a un'altra donna di diventare madre dà una gioia indescrivibile. Quando guardi quei genitori con il loro bambino tra le braccia vieni ripagata di ogni fatica, perché vedi scomparire in un attimo tutta la loro tristezza. Il compenso è un di più. In qualche modo, grazie a quei soldi – 29.000 dollari per la prima gravidanza, 34.000 per la seconda – ho potuto ripagare mio marito e mio figlio per avermi aiutata e per avere dovuto rinunciare un po' a me».

FRANCESCA 43 anni, madre di due gemelli di 6 anni.

«Volevo un figlio da subito, appena sposata. Avevo 26 anni. Solo che all'inizio ero molto malata e poi ho subito un trapianto. Questo mi obbliga a prendere medicinali che non mi permettono di portare avanti una gravidanza. Quando avevo 29 anni abbiamo fatto domanda di adozione, ma dopo sei anni di attesa abbiamo rinunciato. A quel punto ho iniziato a cercare se in America c'erano donne trapiantate che erano riuscite ad avere bambini.

Un ginecologo italiano che lavora in un ospedale di Boston ci ha parlato della maternità surrogata, l'ospedale ci ha messo in contatto con alcune agenzie. Lì funziona tutto molto bene, sei tutelata, c'è una grande correttezza.
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Dopo otto mesi hanno trovato la surrogata. È una postina, come suo marito. Hanno tre figli. Non lo facevano per fame, ma per soldi sì. Però trovo che sia corretto così, lei mi ha offerto un servizio prezioso e noi lo abbiamo giustamente pagato. Non ho mai pensato che dovessimo diventare amiche. Ogni tanto ci incrociamo su Facebook, mi ha chiesto di vedere le foto dei bambini e io gliele ho mandate. Ma quando mi ha detto che voleva venire in Italia, le ho detto che preferivo di no. Durante la gravidanza ho tribolato un po' con lei, ma alla fine è stata un'esperienza bellissima, anche se è costata davvero tanto, perché i miei figli sono gemelli e dopo il parto sono rimasti in ospedale per un certo tempo. Ancora non sanno che sono venuti al mondo così, ma glielo dirò quando saranno più grandi. Chi sono io per nascondere la verità?».