L'aerobica ci insegnò a credere nel nostro corpo, a renderlo un motore scattante e potente. Le discipline che vennero dopo ci insegnarono a «sentirlo», il corpo. Quelle ancora successive, zen, a metterlo in perfetta sincronia con la mente. Adesso un libro interessantissimo, Essere corpo (Tea), fa compiere all'idea un balzo definitivo: il corpo è uno strumento di conoscenza infinitamente potente e sincero, dice l'autore, Jader Tolja, medico, psicoterapeuta e ricercatore. E se solo lo ascoltassimo, il nostro corpo, molto del malessere e dell'infelicità che proviamo scemerebbe. Non solo. Se ci rieducassimo a essere il nostro corpo, riusciremmo a trasformare radicalmente il mondo in cui viviamo: potremmo riprogettare le città dove abitiamo e rivoluzionare il lavoro e le sue strutture affinché, finalmente, ci somiglino. E anche ripensare la moda, il design, la salute, lo sport, persino la spiritualità: tutti costruiti, nel mondo occidentale, a partire dalla mente e perciò destinati a lasciarci scontenti.

L'inganno del cervello

«Il corpo di noi mammiferi ha 200 milioni di storia, un periodo lunghissimo in cui si è evoluto, continuando ad affinarsi. Di conseguenza, il nostro sistema nervoso, che rende il corpo un concentrato pulsante di messaggi, informazioni ed elaborazioni, riesce a processare qualcosa come quattro miliardi di bytes al secondo. La mente ne elabora appena 2.000. Eppure, abbiamo lasciato che prendesse completamente il sopravvento sul sistema nervoso e sul corpo, privandoci di un patrimonio inesauribile di percezioni e conoscenza», dice Jader Tolja, che per tutta la vita – indagando, sperimentando, viaggiando – ha cercato di approfondire i rapporti tra corpo e mente.

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«All'università, dopo aver studiato anatomia in maniera classica, sapevo tutto ciò che c'era dentro il corpo e come rappresentarlo. Ma è stato solo dopo la laurea che, facendo negli Stati Uniti esperienze di percezione interna con tecniche corporee avanzate, mi sono reso conto che tutto ciò che avevo studiato potevo anche sentirlo. Per me è stata un'illuminazione». Parte così l'avventura umana e professionale di questo medico poco ortodosso, che non si è accontentato di conoscere le cose e se stesso come processo mentale, ma ha voluto giungere al sapere attraverso le percezioni che il suo corpo gli inviava. Al punto che, per descrivere gli studi che faceva, coniò il termine di «anatomia esperienziale».

Rieducarsi a sentire il mondo

«La mente produce astrazioni e teorie errate, ma rassicuranti, di cui si convince. E interpreta il mondo a partire da schemi stereotipati. Il corpo no», dice Tolja. «Il fatto eccitante è che tutti noi possiamo arrivare a sentire il corpo e il mondo attraverso il corpo, perché potenzialmente e naturalmente noi tutti siamo già stati più che attrezzati dalla natura per farlo. Non si tratta, insomma, di sviluppare qualcosa che non abbiamo o di aggiungere qualcosa che manca. Si tratta di togliere quel quid che ci impedisce di sentire il mondo attraverso il corpo: il controllo della mente». Ma se la bella notizia è che, a suo dire, imparare a farlo è semplice e naturale, la brutta è che la mente farà di tutto per impedircelo. «In questo senso ci sono discipline corporee che possono essere di grande aiuto: penso al tai chi, al chi kung, al metodo Feldenkrais, alla terapia cranio sacrale e a certe forme di yoga, quelle che non puntano a raggiungere un obiettivo specifico, ad esempio avere un fisico disarticolato, che non farebbe altro che far ricadere il corpo sotto il controllo di un obiettivo mentale.

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Anche certi paesaggi naturali, come i boschi, con l'armonia ripetitiva di tronchi e foglie attivano in modo automatico l'emisfero destro del cervello, quello legato al sentire. Quando, invece, ci muoviamo in ambienti con molteplici stimoli visivi, tipo le nostre città, si attiva l'emisfero sinistro, che spinge a mettere in campo l'attenzione. Purtroppo la vita moderna, in tutti i suoi aspetti, evoca una dominanza dell'emisfero cerebrale sinistro».

Riprogettare il futuro

Per mostrare come il mondo attuale sia stato fatto a immagine della mente, Tolja esibisce una sagoma conica tridimensionale in legno, compatta, con un'estremità appuntita. «È ciò che la mente ha deciso fosse il piede: infatti questa è la sagoma, visibile nei calzaturifici, che fa da modello per le scarpe», spiega il dottor Tolja, che tra l'altro dirige il Body conscious design lab alla Università di Bratislava. «Ebbene, non c'è nulla di più lontano da un piede di questa sagoma! Il piede è un sistema raffinato, comprende 33 articolazioni che creano infinite combinazioni tra loro. Basta impedirne una per produrre danni al corpo intero, come la rigidità al bacino e al diaframma, struttura cruciale per la respirazione che, bloccata, genera malesseri, tra cui l'ansia».

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Secondo Tolja, il passaggio risolutivo, quello che può cambiare la vita, è un'illuminazione: quando la mente comprende la sua ignoranza, ecco che si attiva il circolo virtuoso positivo che potrà gradualmente liberare il corpo e farne una nuova bussola del vivere. «Stiamo attraversando un interessantissimo periodo di svolta», spiega. «Possiamo cogliere l'opportunità di ripensare noi stessi e tutto quello che ci circonda affinché ci corrisponda di più. Architetti e designer, operatori della scuola e della salute o dello sport hanno ora l'occasione di riprogettare tutto in una nuova prospettiva».

Il potere delle sensazioni fisiche

Il bello di Tolja è che, a dispetto di decenni di studi e di esplorazione corporea, non sposa visioni e cambiamenti drastici, e porta ai piedi comuni mocassini. «Da giovane, ad esempio, scarpe come le Church's mi sembravano di buon gusto. Poi, col tempo, la mia scelta è stata influenzata anche dalle sensazioni interne, quindi mi sono gradualmente spostato verso scarpe più morbide e con più spazio per le dita. Però se lei mi chiede se me la sento di indossare uno di quei guanti da piede a cinque dita arrivati sul mercato qualche tempo fa e che rispettano la fisiologia più di qualsiasi altra scarpa, le dico di no. Sono una persona che cerca il cambiamento, ma se adottassi scelte per me ancora troppo radicali, come ritirarmi in campagna, mangiare vegano, coltivare quel che mi serve, sentirei in fondo di forzarmi per aderire nuovamente a una ideologia, che a sua volta non è che una costruzione mentale che può risultare altrettanto rigida. Al momento lascio che il mio corpo rilevi nuove informazioni dalle esperienze fisiche che faccio e che siano questi stimoli a riconfigurare i miei gusti e le mie scelte, nel tempo, in modo spontaneo».