Basta poco, per farla diventare quasi una storia di fantasmi. Una presenza in casa, nascosta sotto il letto, dietro la porta. Ferma oltre lo specchio. La scrittrice americana Elizabeth Wurtzel, autrice del memoir di culto Prozac nation, raccontava così, in un articolo su Elle del 2009, il suo prendere coscienza di essere un’ex bellissima: come un incontro soprannaturale. Si guardava nelle foto a 20, 30 anni, recuperate dentro gli scatoloni di un trasloco, e non riusciva a riconoscersi. «Non è così che sono adesso – da allora sono invecchiata. Oh, non c’è da piangere, niente per cui essere in lutto – probabilmente ho ancora altri 10 anni prima di sembrare vecchia, ma qualcosa è cambiato». Wurtzel scriveva con malinconia di sentire che «qualcosa mi ha abbandonata. Non ho idea di che cosa sia – hanno provato a imbottigliarlo per secoli – ma se n’è andato, ennesimo amante spietato. I miei fianchi sono più larghi, la mia pelle più sottile, i miei occhi brillano meno – risplenderò mai di nuovo come se tutte le stelle uscissero la notte solo per salutarmi?».

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Renée Toft Simonsen nel 1982: vinse il concorso Volto degli Anni 80.


Nel 2009 Wurtzel non trovava una risposta alla sua domanda: allora, le donne negli “anta” diventavano irrimediabilmente invisibili. Oggi quella risposta c’è, e per fortuna è positiva: sì, si torna a risplendere. E ci si reinventa anche. Lo sa bene Renée Toft Simonsen: ha iniziato a lavorare come modella a 17 anni, è stata un’attrice nei sexy thriller italiani Anni 80 (ricordate Sotto il vestito niente?), ha prestato il volto a decine di campagne beauty, Richard Avedon l’ha voluta su cinque copertine di Vogue. Poi è arrivato il momento in cui ha sentito che doveva cambiare pelle: «Credo di aver sempre avuto l’inclinazione a essere me stessa e basta», racconta, al telefono dalla Danimarca. Così, ha abbandonato le passerelle, è diventata psicologa e scrittrice, con 25 libri all’attivo, da anni dispensa consigli di cuore su un femminile. Oggi, a 53 anni, non rimpiange il catwalk, l’età della bellezza sfacciata. Anzi, ha appena pubblicato in patria il manuale Jeg er f*cking hot! (Politikens Forlag), andato subito esaurito: racconta proprio i cambiamenti dovuti all’età, la perdita della giovinezza, ma anche il sentirsi ancora «dannatamente hot», nonostante tutto.

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«Si potrebbe dire che il mio libro sia una difesa della vulnerabilità: invecchiando, diventi più vulnerabile. C’è un’età in cui la società non ti vede più davvero, non ti inquadra, come se non fossi più madre, perché i tuoi figli sono già grandi, ma nemmeno nonna, perché non hai ancora nipoti», spiega. «Tutte noi, però, dovremmo imparare ad accettare quello che succede dentro al nostro corpo e nelle nostre emozioni quando invecchiamo. Va tutto bene, ci è concesso essere tristi: in fondo, stiamo pur sempre dicendo addio alla giovinezza, che è qualcosa di molto bello. Ma proviamo anche a raccontarci una storia diversa. Ce ne sono di bellissime: non di perdita, ma di incontro. Io ogni giorno incontro davanti allo specchio una nuova Renée. Invecchiare è un regalo meraviglioso».

"Raccontiamoci una storia diversa, non di perdita, ma d’incontro con una nuova identità (Renée Toft Simonsen)"

Che la maturità sia un potenziale, e che questa sia una novità rispetto al passato, lo dice con convinzione anche Monica Bellucci. Lei – che è un simbolo della bellezza italiana, che si descrive molto onestamente come una «donna matura», e non cerca di nascondersi – è stata appena scelta da Nivea come testimonial. Una tendenza che l’industria della bellezza sta abbracciando sempre più: è finito il periodo delle testimonial eternamente giovani come nelle fiabe, che irrealisticamente pubblicizzavano prodotti antiage dall’alto delle loro pelli ancora lisce.

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Monica Bellucci, 53 anni: è stata appena scelta da Nivea come testimonial.

«Questa è un’evoluzione che fa parte del nostro momento storico. Una volta le attrici, anche talentuose, dopo i 40 non lavoravano più. Per noi è diverso», conferma Bellucci. «Forse è che le donne oggi hanno molto più rispetto per se stesse, con tutte le battaglie che hanno fatto: siamo figlie delle femministe, stiamo raccogliendo i semi del passato, e questa nostra forza si sente. È lo specchio della nostra crescita: abbiamo un rispetto nuovo per noi stesse, e obblighiamo anche gli altri a rispettarci».

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Monica Bellucci a inizio carriera.

Questo rispetto che le donne esigono, da se stesse e dagli altri, passa ovviamente anche dal corpo. Dalla consapevolezza che si è diventate donne diverse anche perché il corpo è cambiato. Attraverso la menopausa, per esempio, che in fondo si può vedere come un altro modo per conoscersi, nel bene e nel male, e che un tempo era un argomento tabù. Oggi, invece, capita che una donna come Monica Bellucci ne parli liberamente. «Ci hanno cresciute con l’idea che siamo collegate troppo alle nostre ovaie, e quindi finiamo quando finisce la vita riproduttiva. La menopausa? Una malattia grave. Non è così. Io credo sia la libertà assoluta», dice. «Non siamo più schiave degli ormoni, che è una cosa meravigliosa; la sessualità continua, solo che sei tu che dirigi, non è più l’impulso a dirigere te. Questa è la sola differenza. Dopo un primo momento di sbandamento, nel corpo tutto torna a posto da solo. Non si smuove niente, va tutto bene, anzi va tutto meglio, perché la sessualità non si focalizza più su un punto solo ma si arricchisce».

"La menopausa? Io credo che sia la libertà assoluta (Monica Bellucci)"

La vede in maniera un po’ meno entusiastica, ma pur sempre libera, Yasmin Le Bon, un tempo modella più pagata al mondo, da oltre 30 anni moglie di Simon Le Bon, cantante dei Duran Duran. «La menopausa è un po’ una merda, in realtà», ha ammesso candidamente in un’intervista al magazine Red. «Ti fa male tutto, sei stanca e litigiosa, sviluppi uno strato extra di imbottitura su tutto il corpo. Non ti ricordi di prendere appuntamento da quel dannato endocrinologo. Non ti ricordi dove hai parcheggiato la macchina. È importante dirlo. Lo ripeto alle mie ragazze (le figlie Amber, Saffron e Talullah, ndr), voglio che siano un po’ più preparate su questo argomento di quanto ero io».

Questo dell’eredità, della consapevolezza da tramandare di madre in figlia, è un tema ricorrente. Anche perché quella presenza soprannaturale, l’io che nel tempo si è trasformato, riappare prepotente nelle ragazze. Come un fantasma del passato, appunto. «Guardi tua figlia, e questo provoca qualcosa in te, certo. Ma una figlia è solo un simbolo della giovinezza che hai perso», spiega ancora Simonsen. «Io guardo le mie (Ida-Marie e Ulrikke, che ha seguito le orme della mamma, ndr), ma non le invidio mai. Le ammiro, anzi, proprio perché sono belle. Certo, in tutto questo c’entra anche la paura di morire, che non puoi fermare, non importa quante operazioni di chirurgia plastica decidi di fare. Sono molto più vicina alla fine, lo so».

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Yasmin Le Bon durante la Settimana della moda francese 2018.

Il confronto sa farsi anche protezione. Simonsen ricorda gli Anni 80, vacui, eccessivi, in cui l’immagine contava più di tutto. E oggi, riflette, «è anche peggio. Le ragazze giovani subiscono la pressione dei social, devono presentarsi in un certo modo. Se penso che avevo 17 anni e le mie lettere impiegavano due settimane ad arrivare a mia madre in Danimarca da New York... Oggi su Instagram le ragazzine guardano donne bellissime, poi guardano se stesse, e pensano che non avranno mai lo stesso successo. La pressione è maggiore che in passato: viviamo in una cultura della perfezione». La stessa cosa che pensa Monica Bellucci, che promette di evitare alle figlie questa traversata: «Non ho un codice di bellezza, non penso nemmeno che esista. Penso che le donne siano belle ognuna nella propria diversità, è quello che bisogna insegnare alle nostre figlie. Ci sono talmente tanti complessi, oggi, che si basano solo sul nulla, queste ragazzine che non si sentono bene e invece sono bellissime».

È peggio essere belle per un certo periodo, e poi perdere quella bellezza, o non esserlo mai? Monica Bellucci dice che un tempo lei e lo specchio erano amici, ora non più tanto: ma va bene così, le priorità sono altre. «Il tempo che passa mi sta insegnando tantissimo, ogni giorno. La vita ci dà delle porte in faccia pazzesche, ma è attraverso queste porte che riusciamo a passare ogni volta, e questo ci aiuta a relativizzare tutto. A 50 anni ridi delle cose che ti preoccupavano a 20. C’è una leggerezza nuova. Ho letto una frase sulla differenza tra ignoranza e innocenza: gli ignoranti vedono solo il bello perché il brutto non lo conoscono, gli innocenti invece lo conoscono ma vedono ancora il bello. Serve dolore per arrivare a questo punto, ma poi si prende distanza dalle cose. E si vive bene».