La traduzione letterale è "il cammino della vergogna"; è una dei milioni di cose che l’italiano (una lingua praticamente morta) non ha un’espressione per indicare: walk of shame è il tragitto che fai, al mattino, da casa del tizio da cui hai passato la notte a casa tua; tutti vedono che sei ancora vestita da sera, che hai il trucco sfatto, che sei una donnaccia che ha fatto sesso con uno con cui non è abbastanza in confidenza da avere un cambio d’abiti a casa sua. Insomma: dovresti vergognarti. Un paio d’anni fa, in una serie mai andata in onda in Italia, una ragazza rispondeva grossomodo: ma è il cammino della vergogna solo se sei disposta a vergognarti. Già: la vergogna (come l’amore, l’autorevolezza, la dieta proteica) non può appiccicartela qualcun altro, richiede la tua collaborazione. È la ragione per cui gli slogan che contengono il verbo shaming, ovvero che prevedono qualcuno sia in grado d’importi di provare imbarazzo, sono una scemenza; compreso il concetto di fatshaming, che prevede tu corra a nasconderti soffrendo se uno sconosciuto dell’Internet ti fa notare che sei culona; come se tu, che mangi tre etti di spaghetti a cena e investi in pantaloni con l’elastico per non rischiare di non avere niente da metterti se metti su un altro chilo, avessi fino a un istante prima creduto d’essere una taglia 40.

L’altro giorno Anne Hathaway ha scritto su Instagram un messaggio ai fatshamer. I rotocalchi americani si sono precipitati a rilanciarlo come empowerment femminile e riuscito tentativo di svergognare gli svergognatori, ma era uno dei messaggi più tristi che si potessero concepire. Hathaway ha scritto che sta mettendo su peso per una parte, e il fatto che senta di doverci avvisare per prevenire i titoli «Santo cielo, Anne Hathaway è ingrassata» è piuttosto malinconico: sei un’attrice da Oscar, hai ancora paura dei titoli scemi dei rotocalchi? Tieni così tanto alla reputazione del tuo girocoscia?

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Non riesco a immaginare De Niro che, prima d’ingrassare per Toro scatenato, fa girare un comunicato che avvisi i malpensanti: se lo vedono appesantito, è per un ruolo, non certo perché è un buzzicone che preferisce le lasagne alla sogliola. Non me lo vedo DiCaprio che, turbato perché i tabloid sottolineano che ha messo su pancia, fa sapere a noialtri disgraziati che lo seguiamo su Instagram che è per un film, mica perché ormai ha una certa età e gli è rallentato il metabolismo.

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DiCaprio in una foto del 2017.

L’unico che riesco a immaginarmi fare un numero del genere è Donald Trump, che sarebbe capacissimo di redarguire chi osa dire che i suoi capelli sono finti sostenendo che s’ingiallisce l’altrimenti invidiabile chioma apposta per esigenze di scena (forse l’ha persino già fatto: twitta troppo per stargli dietro). E anche Trump lo chiuderebbe come ha fatto Hathaway, il messaggio: dicendo «se mi prendete in giro perché sono ingrassata è un problema vostro, mica mio». Che sarebbe un concetto giusto, certo: se senti il bisogno di sottolineare che sono culona, questo dice qualcosa di te, mica di me (quel che c’è da dire di me l’hanno già detto le foto del mio culone: il tuo commento acido è superfluo); peccato il concetto giusto sia depotenziato da quell’«ehi, è per un film, mica sono chiatta davvero» che solo a una disposta a vergognarsi verrebbe in mente di dire.

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