La prima domanda dell'intervista non la faccio io: la fa lui. «Ha mai sognato di viaggiare nel tempo?», mi chiede. «Avrei dovuto?», replico. «Chi non vorrebbe tornare indietro e rimediare ai suoi errori? Le assicuro che l'ho desiderato ben più di una volta». E la risposta che ammette è una sola, funzionale al suo discorso. Perché James Franco, molte vite in una (in ordine sparso: attore, professore, artista e intellettuale) è fatto così: detta i tempi e gli argomenti. Rivendica il controllo anche quando sembra messo lì per caso, il che per lui è praticamente una costante. Oggi ha la faccia di uno appena scivolato fuori dal letto.

Sorseggia un caffè accasciato su una poltrona a The Langham Huntington Hotel and Spa a Pasadena, e si scusa per l'espressione un po' così perché, dice, ha passato la notte a leggere. In realtà i suoi occhi, segnati di nero e profondi come due pozzi, puntano lontani dai pensieri che affiggono i comuni mortali a prescindere dalle ore di sonno, più per snobismo che per eccesso di stanchezza. È un uomo a cui verrebbe voglia di fare i dispetti non fosse che, poi, sfoggia il più sornione dei sorrisi e si guadagna l'impunità.

È seduto di fronte a me, avvolto in una camicia a righe sottili, un paio di pantaloni neri e un cardigan grigio scuro: fintamente trasandato, in realtà elegantissimo. L'argomento di discussione,  cioè i viaggi nel tempo per riscrivere il passato, non è casuale. Infatti, è qui per parlare di 22.11.63 la nuova serie tv di cui è protagonista, tratta dall'omonimo romanzo di Stephen King e prodotta dallo stesso King con il regista J.J. Abram (Star Wars: il risveglio della forza, Lost), in onda dall'11 aprile su Fox (canale 106 e 112 di Sky). Franco interpreta Jake Epping, un insegnante di inglese dalla vita infelice che scopre il modo di viaggiare nel tempo e trova la sua occasione di riscatto cercando di impedire l'omicidio John F. Kennedy (la cui data dà il titolo alla serie).

James Francopinterest
Getty Images
Franco in una scena di 22.11.63: è Jake Epping, un professore che scopre come viaggiare nel tempo e vuole salvare la vita a Kennedy.

Un nuovo eroe nascosto sotto un professore di letteratura inglese anonimo e infelice.

Non sottovaluti i professori (ride, ndr).

Si sente chiamato in causa?

Io adoro insegnare e lo faccio in diverse università. Amo perfino la letteratura inglese e americana come Epping. Ma lui se la passa male: si sta separando dalla moglie e il lavoro va a rotoli. Io sono al vertice dei miei sogni. Sono arrivato al di là delle aspettative che avevo da ragazzo.

Quanto le è costato arrivare fin lì?

La mia vita personale. Una famiglia richiede dedizione: non voglio averla e non essere mai presente perché corro da un set all'altro. Non ho fretta, sono convinto che l'amore sia qualcosa di magico che capita quando deve capitare. È inutile forzare le cose.

Per ora le basta il suo lavoro, quindi?

Bastarmi no. Ma dove lo trovo il tempo per altro? Recitare è la mia passione: viene prima di tutto.

È una passione redditizia, la sua.

Lo farei comunque, anche se non avessi avuto tanto successo. Per mantenermi, all'inizio, ho fatto di tutto, compreso friggere patatine in un fast food. Non ho mai avuto paura di sporcarmi le mani. I miei genitori, specialmente mio padre che era un dirigente della Silicon Valley a Palo Alto, pensava che non sarei mai riuscito a farcela da solo e non mi supportava. Volevo dimostrargli che aveva torto.

Sua madre, invece?

Mi ha sempre appoggiato (e infatti le regalò il Golden Globe vinto nel 2002 per James Dean - La storia vera, ndr), anche se sapeva quanto è dura sfondare in questo ambiente. Ora si ritrova con dei figli attori! Buffo, no?

Anche suo fratello Dave sta diventando una star. Mai stati in competizione?

Fin da ragazzini, lui era quello razionale e tranquillo, io il "fuori di testa". Competitivo, invece, non lo sono mai stato. È più facile che mi prenda cura di chi amo.

Perché fuori di testa?

Non penso alle conseguenze.

È vero che finì nei guai per aver dipinto dei graffiti sul muro della scuola?

Sì. Ero un giovane irrequieto con una certa vena artistica. Prendevo l'autobus di nascosto fino a San Francisco per andare a teatro. E ho avuto il coraggio di lasciare un posto privilegiato e ricco come Palo Alto, con le scuole più all'avanguardia, i migliori professori e le tecnologie più avanzate, per andare in un quartiere degradato.

È un tipo avventuroso, quindi.

Voglio analizzare tutte le sfumature dell'esistenza, quelle più dark, oltre che quelle illuminate di luce. Mi è sempre piaciuto sperimentare. Dipingendo, per esempio. Oppure scrivendo un libro e vedendo cosa ne esce.

Anche fare il professore è un modo di sperimentare?

No. Quello mi serve per tornare con i piedi per terra, lontano dal glamour del red carpet, tra giovani con visioni e progetti, come ero io. Con un unico desiderio nel cuore: realizzare i loro sogni.

È ancora un sognatore?

Mi piace investire in quello in cui credo, per questo mi sono trovato a diventare produttore diverse volte, investendo io stesso negli altri artisti o aiutandoli. Credo che sia importante per le nuove generazioni avere delle radici. Questa serie TV sarà utile a far conoscere i valori di JFK e a far capire che cosa significa lottare per le proprie idee.

Avete girato a Dallas, proprio dove Kennedy è stato ucciso.

È stato davvero un viaggio nel tempo: con la moda di quel periodo, le macchine, gli atteggiamenti.

E lei che cosa farebbe se potesse tornare indietro nel tempo?

Vorrei vedere l'Amleto originale di Shakespeare e la prima a teatro di Un tram chiamato desiderio. Per tutto il resto, c'è comunque un'altra occasione, no?