Il pianoforte è il cuore pulsante della casa bolognese di Ezio Bosso. Lui studia in poltrona uno spartito di Schubert, sul divano di fronte sonnecchiano tre basset hound. La malattia degenerativa che lo costringe sulla sedia a rotelle è solo un minuscolo puntino del quale ci si dimentica subito; si chiacchiera di musica e di vita, e dei concerti imminenti (debutto il 1° giugno 2017, al Festival Trame sonore di Mantova) in cui dirigerà un'orchestra (tutte le date su eziobosso.com/it).

Ci sono voluti sette anni perché tornasse a farlo.

Colpa dei muri immaginari che ci creiamo. E tutto è partito da me, ero convinto che non ci sarei più riuscito. Ora il muro non è ancora abbattuto, ma sono riuscito ad aprirmi un varco.

La musica cosa rappresenta per lei?

Non mi piace dire che è la mia vita, ma è fondamentale per la mia esistenza. Scandisce i miei giorni e i miei sogni. Dicono sia l'espressione di quel che abbiamo nel cuore, ma per me è molto più in alto di così.

Ci sono cose che senza la musica non avrebbe capito?

La disciplina. E i problemi, che quando suoni diventano un'opportunità per capire dove sbagli. L'orchestra è l'esempio di una società ideale: ognuno collabora per far crescere gli altri. I frac degli orchestrali sono tute da Superman che mettono in moto la magia. Adoro la parola magia, significa ascensione e deriva dal percorso dei dervisci: quel roteare fino a che non si tocca più terra.

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A Mantova il 1° giugno dirige l'Incompiuta di Schubert.

Me l'hanno chiesto, lo trovo un atto di stima profonda. Dal 20 al 22 giugno 2017, invece, condurrò uno "studio aperto" a Palazzo Barolo, a Torino: un workshop in cui far musica assieme e scambiare impressioni. Vorrei che i partecipanti imparassero ad ascoltare. Un bravo musicista è quello che ascolta di più, è pronto a cambiare la propria idea se l'altro ha un'intuizione più interessante. Non ha pregiudizi, è questa la cosa bella.

Non se ne vedono tante in giro, ultimamente, di cose belle.

I social ci hanno abituati a vedere la parte violenta dell'essere umano. La musica, però, crea una catena meravigliosa: suscita ascolto, l'ascolto porta curiosità, con la curiosità arriva la conoscenza e la conoscenza è libertà. Le cose belle entrano dalla pancia, passano per il cuore e fanno muovere la testa.

Sanremo le ha regalato una dimensione pop.

Ho avuto la possibilità e anche il dovere di incuriosire le persone con quella partecipazione. Ma molti hanno pensato che fossi nato su quel palco, senza conoscere la mia storia. Temevo sarei diventato un personaggio smettendo di essere persona, così in tv non mi è più venuta tanta voglia di tornarci.