"Data l'attuale instabilità di molti Paesi arabi, parlare di sesso e di sfidare i tabù può sembrare un lusso. Ma se non otteniamo dignità, eguaglianza e autonomia nelle nostre vite private e sessuali, sarà difficile ottenerle nella vita pubblica. La politica e il sesso sono intimi compagni di letto". La giornalista e scrittrice Shereen El Feki non sembra avere dubbi sul fatto che l'evoluzione di una società si misuri anche attraverso l'approccio al sesso: queste parole le ha pronunciate durante una Ted Conference che ha tenuto sull'argomento nel 2013.

Nata da madre gallese e padre egiziano, cresciuta in Canada, El Feki è un ponte tra due mondi: quello occidentale nel quale ha sempre vissuto e quello arabo che ha iniziato a indagare per lavoro. Ha infatti trascorso gli ultimi anni a viaggiare attraverso diversi Paesi arabi intervistando uomini e donne sul loro rapporto con il sesso. Perché, come afferma nella Ted Conference: "La sessualità è una lente straordinaria attraverso la quale studiare una società: ciò che succede nell'intimità si riflette nella politica, nell'economia, nelle tradizioni, nelle religioni. Se si vuole conoscere un popolo, si deve guardare in camera da letto".

I risultati delle sue indagini li ha raccontati nel libro Sex and the Citadel: Intimate Life in a Changing Arab World, non tradotto in italiano (si trova su Amazon) che descrive proprio il rapporto di uomini e donne arabi con la sessualità. È stata di recente ospite a Ferrara, al Festival di Internazionale, dove l'abbiamo incontrata.

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La giornalista Shereen El Feki.

Lei sostiene che, per essere davvero efficaci a livello sociale, i valori reclamati durante le Primavere arabe come dignità, rispetto e libertà, dovrebbero essere contestualmente applicati anche nella vita privata, dunque in camera da letto. Perché?

Perché il personale è politico. E questo le donne lo capiscono bene. Durante le proteste del 2011 in piazza Tahrir, al Cairo, domandai a persone di entrambi i sessi in che modo sarebbero cambiate le cose in camera da letto se la rivoluzione politica avesse avuto successo. Le donne immaginavano già di poter rivendicare la gestione autonoma del proprio imene, la cui integrità non dovrebbe essere un problema di famiglia né di Stato. Gli uomini, invece, reagirono con orrore all'idea di una rivoluzione sessuale, oltre che politica. "Siamo arabi, tradizionalisti e musulmani, non è questo il cambiamento che auspichiamo", mi risposero. Ho verificato che nel mondo arabo le giovani donne sono mentalmente più aperte delle loro madri, mentre gli uomini sono più chiusi rispetto alle generazioni precedenti. Questo comporta dei problemi. Ancora oggi il matrimonio è il solo lasciapassare per la vita adulta. Se non ci si sposa non si può uscire di casa, fare sesso, avere figli: si vive in uno stato di adolescenza sospesa. Ma il numero di donne che studiano e lavorano è in aumento. E cercano uomini in grado di rispettare la loro autonomia: ma dove li trovano, se il gap tra è sessi è ancora così marcato? Questo per dire quanto la diseguaglianza di genere abbia implicazioni profonde non solo nella vita personale ma anche pubblica.

Nel mondo arabo le giovani donne sono mentalmente più aperte delle loro madri, mentre gli uomini sono più chiusi rispetto alle generazioni precedenti

Esiste un diritto sessuale universale?


Certamente. Si tratta del diritto di ogni individuo a una vita sessuale piacevole e soddisfacente, priva di violenza, coercizione e discriminazione. E benché spesso tutto ciò venga presentato nei Paesi Arabi come un aspetto dell'egemonia culturale dell'Occidente, si tratta di aspirazioni universali. Quello che cambia, da cultura a cultura, è il modo di intendere le parole "piacevole" e "soddisfacente" e i modi adottati per raggiungere lo scopo. Mentre viaggiavo attraverso i Paesi arabi per scrivere il libro Sex and the Citadel, sono entrata in negozi di lingerie che propongono creazioni incredibilmente fantasiose e sono frequentatissimi da donne velate, alcune anche integralmente. Ho interrogato in proposito un'amica locale che mi ha risposto così: "So che la lingerie è vista dalle femministe occidentali come uno strumento di sottomissione al maschio, ma da noi è diverso. Io non posso dire a mio marito che ho voglia di fare sesso: sarebbe disdicevole. Però posso indossare i miei slip rossi con i volants e lui coglierà il segnale". Insomma, ci sono molti modi per raggiungere lo scopo di una vita sessuale soddisfacente e piacevole».

Lo sguardo delle occidentali sulle donne arabe oscilla tra comprensione, compassione e giudizio. Spesso alla base di questi atteggiamenti c'è la consapevolezza di quanta fatica sia costata la rivoluzione femminista e la paura di fare dei passi indietro. Lei che conosce entrambe le culture, che cosa ne pensa?

Quando mia madre, che è nata in Galles negli anni 30, mi descrive il mondo in cui è cresciuta, non mi sembra molto diverso da quello nel quale vivono oggi le mie giovani cugine egiziane, con la centralità del matrimonio, i tabù sull'omosessualità, la mancanza di educazione sessuale, il senso di vergogna, una legislazione ingiusta... Ciò detto, io invito gli occidentali e le occidentali che si avvicinano al mondo arabo a ricordare che la rivoluzione sessuale in Occidente non è avvenuta all'improvviso, come un elicottero che ha decollato da una pista di tabù diritto verso un cielo di libertà. È stata piuttosto come uno di quei pesanti aerei da trasporto: ha percorso una lunghissima pista prima di librarsi in volo. E quella pista è stata costruita in centinaia di anni di cambiamenti sociali, religiosi, economici e politici, dall'Illuminismo in poi. Possiamo discutere se in questo momento nei Paesi arabi esista o meno un aereo del genere, ma di certo manca la pista. E anche quando il decollo sarà possibile, non è detto che la direzione presa sarà la stessa. L'idea che il mondo arabo sia in attesa di una rivoluzione sessuale secolare che cambierà tutto è tipicamente occidentale: la verità è che da noi le rivoluzioni non funzionano. Dalle Primavere arabe in poi sono certamente avvenuti molti cambiamenti: si discute più apertamente di violenza domestica ed educazione sessuale; un numero crescente di donne parla di sesso in maniera responsabile; esistono Ong che si occupano dei diritti delle donne e delle comunità lgbt. Nella regione ci sono molti operatori sociali preparati, che conoscono benissimo la storia dei cambiamenti sessuali in Occidente, ma sono anche consapevoli che in un Paese islamico la strada da percorrere è diversa. Lo sviluppo è un viaggio, non una gara.

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Lei mette in evidenza come esista una importante tradizione di letteratura erotica nei Paesi musulmani, nettamente in contrasto con i molti tabù di oggi…

Infatti è così. Il sesso è diventato terreno di conflitto da quando i regimi autoritari hanno iniziato a usarlo, insieme alla religione, come strumento di controllo sociale. In molti testi letterari e anche religiosi - esistono persino hadith del Profeta che parlano di sesso - non si enfatizza solo l'eros, ma in particolare il piacere sessuale femminile. Si dice che il sesso è un regalo di Dio. Proprio perché si tratta di una forza così dirompente, la si usa in maniera strumentale. È interessante che oggi le donne arabe si lamentino della loro vita sessuale e delle prestazioni degli uomini, perché stando alla tradizione essere un cattivo amante è decisamente anti-islamico. Ma i maschi arabi da una parte subiscono una forte pressione sulla performance che dovrebbero garantire per essere "veri uomini", dall'altra temono la potenza sessuale femminile: questo (insieme a un consumo massiccio di video porno) li rende poco attenti al piacere femminile e molto insicuri, tanto che il Viagra è spesso usato come merce di scambio per ottenere favori e come regalo di nozze tra uomini. Ci vorrà tempo perché le cose cambino: ma sarà un'evoluzione, non una rivoluzione.

L'idea che il mondo arabo sia in attesa di una rivoluzione sessuale secolare che cambierà tutto è tipicamente occidentale

Perché nel discorso pubblico europeo sui pericoli dell'immigrazione di finisce per fare spesso riferimento al sesso?


È successo anche durante l'ultima campagna elettorale tedesca: l'Afd (il partito Alternative fur Deutschland, ndr) ha usato come argomenti anti-immigrati la sottomissione delle donne e l'istinto predatorio degli uomini arabi. Il sesso è stato usato per compiere un'opera di "altruizzazione", ovvero per enfatizzare la distanza tra due comunità. Succedeva lo stesso negli Usa durante gli anni della segregazione razziale, quando i matrimoni misti erano vietati: si dovevano proteggere le americane dalla "rapacità" dei neri. Le destre parlano sempre allo stesso modo ed è per questo che io ribadisco che il sesso fa parte del discorso politico ed economico. I regimi conservatori sono da sempre consapevoli della potenza dell'argomento e lo usano per esercitare un controllo che non riguarda solo le donne: anche gli uomini subiscono dei danni dalla diseguaglianza tra i sessi. Devono infatti confrontarsi con un'idea di mascolinità mitica, irreale e irraggiungibile. Ho conosciuto giovani uomini di 21 anni che si chiedevano: ma perché devo essere il guardiano di mia sorella che ha 30 anni? Io voglio vivere la mia vita, non dover controllare dove lei va e quando torna a casa. Quando si discute di questi temi, bisogna considerare anche il posto degli uomini».

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Magari è questo ciò che non ha funzionato del tutto nel femminismo occidentale: gli uomini non sono stati sufficientemente coinvolti nelle battaglie. Qual è la sua opinione?

Certamente da parte di molte femministe, giustamente in lotta contro il patriarcato, c'è stata una resistenza al coinvolgimento degli uomini, sì. Ma è arrivato il momento di capire che il patriarcato fa il gioco di quella minoranza di persone - per la maggior parte uomini, è vero - che stanno in cima alla piramide del potere. Coinvolgere i maschi sul tema dell'uguaglianza di genere è necessario. Non è facile perché non viene insegnato loro a parlare di se stessi, però è possibile. Nei Paesi arabi ho scoperto che un modo per "agganciare" i giovani uomini è il tema della paternità. Tra quelli intervistati, meno di un terzo pensa che sia disdicevole occuparsi dei figli. La maggior parte vorrebbe passare più tempo con loro. L'80% dei marocchini vorrebbe usufruire del congedo di paternità. È come se la genitorialità spalancasse nella loro mente una finestra. Ricordo un giovane palestinese che mi disse: "Quando mi sono sposato mia moglie faceva tutto in casa, alla maniera tradizionale. Poi abbiamo avuto due bambine. Allora ho iniziato a chiedermi: e se le mie figlie sposassero uno come me? Così ho iniziato a darmi da fare in casa e ho capito quanto lavoro aveva fatto fino a quel momento mia moglie. E quanto ne aveva fatto mia madre". La paternità li aiuta a riflettere. Dire a un uomo ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare non funziona: lo verifichiamo tutti i giorni. Ma offrendo loro occasioni costruttive per essere padri migliori, allora si aprono spazi per un cambiamento profondo su altre questioni. Tradizionalmente nessuno ha mai chiesto agli uomini di mettersi in discussione. E sono state le madri, per prime, a sostenere il patriarcato trattando i figli maschi e femmine in maniera diversa. Dunque il lavoro va fatto con uomini e donne insieme. E sfortunatamente queste questioni riguardano tutte le società, non solo quelle musulmane.

Durante un recente incontro alla Casa delle donne di Milano la imamah statunitense Ani Zonneveld ha dichiarato che l'utilizzo occidentale del corpo femminile per pubblicizzare merci di ogni tipo e l'obbligo islamico di portare il velo rappresentano due facce della stessa medaglia: la sessualizzazione del corpo femminile. Lei è d'accordo?

A me interessa cosa una persona ha in testa, più che addosso. Finché si tratta di una scelta libera e informata, le donne dovrebbero poter fare ciò che vogliono. Il problema è che molte non possono scegliere. Quando però si ha il dubbio che una donna non sia libera, la cosa migliore è chiedere a lei. Perché le risposte potrebbero essere sorprendenti. Alcune magari riveleranno: "Se metto velo i miei genitori mi controllano un po' meno, dunque ho più libertà". Altre spiegheranno: "Se porto l'abaya ho meno probabilità di essere molestata, dunque sono più libera". Molte ragazze velate lavorano per sovvertire il sistema: sotto, magari, portano tacchi alti, jeans strettissimi e acconciature alla Carmen Miranda. Il velo non impedisce loro di agire per se stesse. Ma l'unico modo per scoprire queste cose è attraverso il dialogo. Solo così si costruiscono ponti.