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Lo scrittore napoletano Lorenzo Marone, parla del suo secondo romanzo La tristezza ha il sonno leggero (Longanesi)

Erri ha quasi quarant'anni, un lavoro che non gli interessa (nell'azienda del suocero), una moglie, Matilde, che da anni vuole un figlio (e non ci riescono) e ora è incinta, pare, del collega di lavoro. Erri è stato chiamato così perché Renata, la madre-padrone, amava Hemingway, ma in Comune l'hanno scritto sbagliato. Erri vive con la madre e il suo nuovo marito Mario, che ha già una figlia Arianna, e con Renata ha avuto due figli Giovanni e Valerio. Il padre di Erri, Raffaele Gargiulo, ristoratore-filosofo, si è risposato con Rosalinda, insieme hanno Flor. Erri è un figlio a metà. In una famiglia tanto allargata da perdersi dentro le vite di fratellastri e sorellastre. Ma Erri va avanti. Senza mai perdere la speranza.

Andare avanti nonostante tutto, questo è il mantra di Lorenzo Marone, napoletano, ex avvocato che ora ha trovato la sua professione: scrivere. Ora uno scopo, un figlio, una moglie, una famiglia. Lorenzo-Erri dice felice: «scrivere questo romanzo è stato terapeutico, sono figlio di separati, mi ricordo quando accadde, il muro in casa, e ricordo cosa significa vivere con genitori insolventi». Lui è un ottimista che scrive di pessimisti. I suoi protagonisti sono eroi fragili, ma non si danno mai per vinti e alla fine ce la fanno. «Ci sono diversi modi di smuovere le cose: la speranza e la rabbia, se ti hanno insegnato a reprimere la rabbia allora usi la speranza per liberarti». E la penna di Lorenzo è talmente ironica e leggera che non possiamo non stare dalla parte di Erri e delle sue indecisioni. E del suo amore incondizionato per  quella famiglia grande come un circo.

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La tristezza ha il sonno leggero, di Lorenzo Marone, Longanesi, pp. 373, € 16,90, ebook € 9,99

«Se non scegli tu, sarà la vita a scegliere per te». E Lorenzo Marone spiega a noi lettrici di Gioia!.it come arrivare prima della vita. 

«Un giorno lessi una frase di Pasolini che diceva: "Ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece". Non so perché, mi venne subito in mente la famiglia, questo piccolo grande insieme di persone che influenza il nostro modo di essere e di pensare. Fa paura ammettere che tutto quello che siamo stati, che siamo e che saremo, sia stato in parte deciso da altri, in primis i nostri genitori che, anche senza volerlo, ci trasmettono le loro esperienze, il loro modo di vedere e affrontare la vita, ci offrono un solo sguardo possibile sulle cose: il loro, appunto. E se quello sguardo, per una serie di motivi, non è stato curioso, «vivo», se non si è alzato al cielo, ma ha sostato spesso sul selciato, sono guai. Perché tocca poi a noi rinnegarlo o, almeno, ampliarlo, renderlo diverso, nostro. Nel mio ultimo romanzo ho provato a raccontare di come le famiglie possano spingerti a recitare una parte che non è la tua e come questo, a lungo andare, ti porti a guardare il mondo con occhi che non sono davvero i tuoi, a confinarti in un ruolo che ti diventa sempre più stretto. Di come sia difficile far capire ai nostri familiari che non dobbiamo per forza essere quello che hanno creduto che fossimo. Di come spesso, per salvarsi, ci si debba ribellare all'amore di chi ci ha messo al mondo, e di come a un certo punto della vita sia necessario, per diventare davvero ciò che si è, stracciare il copione che ci è stato assegnato e imparare a splendere di luce propria. La sola luce possibile».