Salvatore Esposito è l'autore di Bob Dylan, La Storia del Rock. I Protagonisti, (Hoepli 2017, pp.204, Euro 17,00), libro che presenterà tra pochissimi giorni in occasione di Umbrialibri (6-8 Ottobre, Perugia e 13-15 Ottobre, Terni, tutte le info sul sito umbrialibri.com).

Qui sotto un estratto dal capitolo Sentimental Journey.

Come un fulmine a ciel sereno, il 13 ottobre, l'Accademia di Svezia annunciò che era stato conferito a Dylan il premio Nobel per la letteratura «Per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale americana». C'è da credere che questa notizia abbia sorpreso non poco anche lo stesso Bob che, nel 2003, in un'intervista con Dave Fanning, alla domanda sulla sua candidatura al Nobel aveva esclamato: «Ma chi mi metterebbe mai in compagnia di Hemingway?». In breve tempo, felicitazioni, commenti entusiasti e inevitabili polemiche cominciarono a diffondersi a macchia d'olio nel Web, con le posizioni opposte di Barack Obama e Jonathan Franzen come di Alessandro Baricco e Francesco De Gregori. Sebbene lo stesso Dylan non si sia mai considerato veramente un poeta, preferendo la definizione di «song-and-dance man», la motivazione del premio Nobel coglieva perfettamente il senso di quel riconoscimento, in quanto poneva in luce come il cantautore americano avesse creato una via poetica nuova nella musica rock. Una rivoluzione epocale, che avrebbe meritato di essere celebrata forse con un album di canzoni inedite; invece il 2017 ha portato in dono l'ultimo capitolo della trilogia cominciata due anni prima: Triplicate, il suo primo album triplo in oltre cinquant'anni di carriera, nel quale aveva raccolto trenta nuove riletture di classici del Great American Songbook, suddivise in tre dischi tematici dal titolo Til The Sun Goes Down, Devil Dolls e Comin' Home Late. Nell'intervista con Bill Flanagan pubblicata sul suo sito ufficiale, spiega le motivazioni che lo hanno indotto a pubblicare un terzo album di standard: «L'ho fatto quando ho capito che lì c'era più di quanto pensassi e che quei due dischi assieme erano solo una parte del quadro. Così siamo andati avanti e abbiamo fatto questi». Alla domanda sulla scelta di pubblicare un triplo, replica: «È meglio che escano insieme perché tematicamente sono collegati, uno è il sequel dell'altro e risolve il precedente». Non è stata casuale anche la scelta di sud- dividerlo in tre dischi con dieci brani ciascuno: «Dieci è il numero del completamento. È un numero fortunato, simbolo della luce. Per quanto riguarda i trentadue minuti, è il limite di tempo perché un long playing abbia un suono più̀ potente, quindici minuti per lato. I miei dischi sono sempre stati sovraccarichi da entrambi i lati. Troppi minuti per essere registrati o masterizzati correttamente. Le mie canzoni erano troppo lunghe e non andavano a pennello con il formato audio di un LP. Il suono era debole e dovevi alzare il volume del giradischi al massimo per sentire bene. Per me questi CD rappresentano gli LP che avrei dovuto fare». Parlando delle registrazioni, poi, rivela: «C'è abbastanza della mia personalità in quei testi, così ho potuto concentrarmi sulle melodie, negli arrangiamenti. Come cantante sei costretto entro schemi armonici ben de- finiti. Ma all'interno di quegli schemi hai un controllo maggiore di quanto ne avresti se non ci fossero limiti di sorta. In realtà ci vuole meno pensiero, quasi nessun pensiero. Quindi credo che si possa chiamare un nuovo modo di pensare». (…) A settantacinque anni Dylan ribadiva ancora una volta la sua completa libertà nell'addentrarsi nella tradizione musicale americana, spostando più̀ avanti i confini della sua ricerca. (…).