"Quando ho iniziato a lavorare a Gli sdraiati mio figlio aveva 17 anni. Ricordo che disse: 'Ma tu davvero fai un film sul libro di quello che blasta (sbeffeggia, nel gergo social, ndr) suo figlio?'. Gli risposi che Serra non blastava il figlio, ma tutto il resto, a cominciare da se stesso". Anche Francesca Archibugi, che ha sceneggiato con Francesco Piccolo e diretto il film tratto dal romanzo generazionale di Michele Serra, racconta l'incontro con Gli sdraiati come un'attrazione fatale (come si evince dall'entusiasmo della regista in questo video di backstage).

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"Avevo trovato il libro coraggioso e non impudico, una cosa rara quando si fa autofiction. Diversi anni dopo, uno dei produttori andò a trovare Michele in campagna e vide Gli sdraiati sul suo tavolo, in una traduzione spagnola. Ne avevamo parlato da poco, gli chiese se fosse disposto a cedere i diritti, gli parlò di me. Là per là non sapevo nemmeno se si potesse fare un film da quel racconto filosofico, in fondo è la lettera di un padre a un figlio".

La storia ce l'avete costruita intorno voi.

Beh sì, abbiamo completamente inventato il romanzo familiare: rimane questo padre, il rapporto con il figlio che poi è un'idea di adolescente contemporaneo. Ci siamo messi a riflettere su come gli elementi cardine potessero diventare storia. Per esempio, nel libro di Serra non viene mai nominata una madre. Abbiamo fatto di questa assenza più acuta presenza. Ci sono altri rovelli grossi, che riguardano il rapporto tra le classi sociali nella scuola. Ci sono delle morti, non abbiamo fatto un filmetto adolescenziale.

Altre differenze, rispetto al libro?

Mi è impossibile paragonarli. Quando Michele ha letto la sceneggiatura è rimasto un po' così. Mi ha chiesto: "Beh, ma io che c'entro?". Gli ho spiegato che era il cuore della storia, l'ispirazione è il suo sguardo su certi adolescenti. Io lo chiamo lo sguardo azzurro. Senza coinvolgerlo mi sarebbe sembrato un furto.

Francesca Archibugipinterest
Francesca Archibugi, 57 anni, sceneggiatrice con Francesco Piccolo e regista del film Gli sdraiati.

Perché ambientarlo tra la borghesia colta milanese?

Perché è un ambiente che mi piace molto. Ma per me è stato come girare a Berlino. Uno pensa che l'esotico sia sempre un altrove lontano. Anche Milano può essere molto esotica per un romano. È difficile da spiegare la milanesità, il suo fortissimo senso civico, cose che un romano neanche si sogna.

È stato come girare a Berlino: per un romano la milanesità può essere così esotica

Un racconto esemplare?

Non sono una sociologa, aspiro a essere una narratrice, tratto solo pezzi unici: Tito non è tutti gli adolescenti del mondo. Così come suo padre non è tutti i padri del mondo.

Da madre, ha trovato risposte?

Sono cambiate delle cose strutturali nel rapporto tra noi e loro. A mia mamma "Non rompere il c." io non l'avrei mai detto. Avrebbe subito chiamato il medico per sapere se stavo bene. Noi invece non esiteremmo a rispondere a un figlio: "Non me lo rompere tu". Questo livello di confronto così paritario spariglia tutto.

Ha fatto esordire spesso dei ragazzini, ne sente la responsabilità?

Molti continuo a sentirli. Tanti non recitano più. A volte mi chiedo se non sia io a scoraggiarli, è un mestiere che tendenzialmente sconsiglio, devi avere una grande tenuta psichica. E siccome sono molto protettiva, mi spingo spesso a dire loro che ci sono altri mestieri bellissimi nel cinema.

Perché ha scelto Bisio per il ruolo del padre?

Ho la sensazione che come attore sia sottoutilizzato. A me serviva un milanese come lui, avevo bisogno della sua grande umanità: il suo ruolo è fondamentale. Nel film è una figura ancora più ingombrante, un giornalista televisivo famoso. Volevo raccontare il paradosso dei nostri tempi: un padre importante, autorevole, rispettato, che non ha nessuna autorità sul figlio e nessun rispetto da parte sua. A un certo punto non sa più che pesci pigliare. Non riesce più a capire il figlio, sente di sfuggire persino a se stesso. Vorrei che le persone uscissero dal film ricordando quant'è difficile volersi bene.

Foto di Scott Webb su Unsplash.