Il clamore di Cannes, i luccichii del festival, l'orgoglio di quel tanto conteso Un Certain Regard. Eppure la guardi e hai l'impressione che Jasmine Trinca si sia già lasciata tutto alle spalle: naturalmente, del riconoscimento assegnatole dalla giuria francese per la sua interpretazione in Fortunata, l'attrice è ancora molto orgogliosa ma adesso, a occuparle cuore e mente, c'è solo il suo prossimo ruolo. Il regista Alessio Cremonini l'ha scelta infatti per interpretare Ilaria Cucchi nel film Sulla mia pelle, distribuito da Lucky Red: un ruolo di spessore e di grande impegno sociale che, a mesi di distanza dalle riprese (inizieranno ad autunno 2017), sembra già averla risucchiata completamente. La ragione? Quella sete di giustizia che ha caratterizzato la battaglia della sorella di Cucchi ma, soprattutto, un valore perduto che si chiama speranza.

Quale aspetto di Ilaria Cucchi desidera maggiormente far emergere?

Ilaria è, prima di tutto, un limpido esempio di umanità: intraprende una battaglia non solo per se stessa, ma anche per tutti noi. Di lei vorrei restituire soprattutto la forza e l'integrità: non è una super eroina dai poteri speciali, ma una donna la cui capacità di reagire e combattere nasce, anziché dalla disperazione, dalla speranza di un mondo diverso.

Condivide questo suo senso di speranza?

Nella sua storia rivedo un po' la battaglia tra Davide e Golia. Tutto parte, di fatto, da una donna sola grazie alla determinazione della quale siamo arrivati a conoscere, sempre di più, la verità. Ci mostra come una goccia può cambiare il mondo.

Anche lei, con il suo lavoro d'attrice, ambisce a fare la differenza?

Non credo che il mio lavoro possa avere lo stesso peso. Tuttavia penso che, per quanto si possa, si debba scegliere: nelle storie e nei ruoli che interpreto, c'è sempre qualcosa che mi corrisponde, come persona e come donna. Mi piace parlare del femminile. Certo, nel caso di Sulla mia pelle, raccontiamo una storia reale quindi si tratta di cinema impegnato. Tuttavia trovo che anche in film dai toni più fiabeschi, come Fortunata, si possano veicolare importanti messaggi, anche se impliciti e meno sottolineati, sul femminile.

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Jasmine Trinca in Fortunata.

Sbaglio o a lei piace particolarmente portare in scena l'imperfezione femminile?

Assolutamente! Anche se, più che di imperfezione, preferisco parlare di complessità del femminile.

C'è un tipo di femminilità nel quale si riconosce?

Non riesco a definire né me stessa né, in generale, la categoria femminile: la bellezza delle donne è proprio la loro complessità, che non può essere prevista o incasellata. Vale in realtà per ogni essere umano ma, in particolare, per le donne.

In America, Emma Thompson ha tuonato contro Hollywood, sostenendo che i produttori impongono alle attrici un modello estetico all'insegna della magrezza e della perfezione. Com'è la situazione in Italia?

Da noi è diverso ed è giusto così: nel cinema devi per forza restituire la famosa complessità di cui parlavamo, che si traduce anche in una complessità fisica, di immagine. Inoltre non si può mai prescindere dall'identità dell'attrice che non entra certo in scena per vincere la finale di Miss Italia. Sono due lavori molto diversi…

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Jasmine Trinca nel film Fortunata, insieme a Stefano Accorsi.