Se c'è un merito (uno dei tanti…) da riconoscere a Elena Sofia Ricci è quello di averci liberato dallo stereotipo della suora petulante e bacchettona: la sua Suor Angela di Che Dio ci aiuti è un uragano di allegria, umanità e simpatia. Non a caso la fiction, che la vede protagonista, va a gonfie vele pur essendo già giunta alla quarta stagione su Rai Uno. L'attrice però non si accontenta e alza la posta in gioco: ospite al festival Cortinametraggio (che si è tenuto dal 20 al 26 marzo 2017), ha raccontato del suo esordio alla regia teatrale, del desiderio di sperimentare strade nuove (e personaggi nuovi...) e di avere ambizioni anche da sceneggiatrice. A patto che non sia una fiction melò…

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Partiamo da Che Dio ci aiuti: qual è il punto di forza della serie?

Sa trattare la spiritualità con leggerezza: riusciamo a veicolare messaggi profondi mantenendo uno sguardo di tenerezza sulla vita. Credo che sia proprio questo approccio ad averci premiato. Inoltre per interpretare Suor Angela mi sono ispirata a Don Camillo: un protagonista che la gente ama, tant'è vero che i suoi film registrano sempre alti ascolti in tv. Come lui, anche Suor Angela parla con Dio. Credo che il pubblico la senta vicina perché anche lei, come tutti, sbaglia: è in primis una peccatrice, non ha pazienza, si mette in mezzo anche quando non dovrebbe, e a volte vuole persino prevaricare il Signore.

Anche lei vive una spiritualità religiosa così vivace e dialettica con Dio?

Interpretando Suor Angela mi sono convertita. La fede è un bel viaggio: come tutti, mi è capitato di sentirmi abbandonata da Dio per poi risentirLo vicino.

Non teme mai di rimanere incastrata nel personaggio?

L'anno scorso ho recitato a teatro nello spettacolo I blues di Armando Pugliese e mi preparo a farne un altro, sempre come attrice. Sebbene infatti ami profondamente il personaggio di Suor Angela, non posso morire nei suoi panni. Mi sento di avere ancora altre cose da dire.

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Elena Sofia Ricci nei panni di Suor Angela.

In tv le stanno invece proponendo progetti sulla falsa riga di Che Dio ci aiuti?

Beh, sì: è normale. Per questo devo alternare la serie con qualcosa di diverso. O comunque mettermi in gioco in altri modi.

Per esempio debuttando come regista teatrale nello spettacolo Mammamiabella?

Esatto. All'inizio, quando mi hanno proposto la regia, pensavo fossero pazzi, perché non ho mai nutrito velleità registiche. Semmai sono sedotta dal sacro fuoco della scrittura: ho scritto un soggetto per un film cinema, che spero di realizzare prima o poi. Quindi, la proposta di Mammamiabella mi ha spiazzata. Alla fine non solo ho accettato ma ho anche messo in piedi uno spettacolo complicatissimo che gira come una giostra colorata, divertentissimo! Con mia stessa sorpresa, sta riscuotendo un successo incredibile.

Di cosa parla?

Il tema è la maternità: una materia dove sono ferrata visto che ho due figlie! Lo spettacolo prevede anche momenti di cinismo assoluto anche perché detesto il melò…

Ecco perché sta facendo meno televisione: oggi la tv gronda di melò!

Non le nascondo che ho rifiutato delle fiction perché erano troppo melò. In passato ho fatto Orgoglio, che era epoca, e con quello ho saldato il mio conto con il melò! Mi basta.

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Come spiega questa tendenza nelle fiction a indulgere, sempre di più, sul melò, arrivando a contaminarlo con i generi più disparati?

A dire la verità, non so spiegarmelo nemmeno io. È un genere che non mi emoziona. Sono sempre stata un'amante di ciò che è ruvido, cinico. Mi è capitato sovente di recitare dei drammi borghesi: piece di Pirandello o Tennessee Williams, ma a dirigermi c'era Armando Pugliese, ossia un regista di grande talento, capace di raccontare la ferocia più profonda e intima dei personaggi. Pertanto anche in quel caso le mie donne non sono mai state donne da dramma borghese: erano più assimilabili alle eroine della tragedia.

Oggi la fiction italiana sta finalmente superando i confini nazionali: tra le sue ambizioni c'è anche una grande coproduzione internazionale?

Il tempo in cui girare La rivolta degli impiccati, per sei mesi, in Messico è passato: ora ho una famiglia, due figlie. Non voglio assentarmi così a lungo. Ho diminuito il teatro per la stessa ragione.

Non le pesa tale rinuncia?

Fin da quando ero bambina, la mia priorità è sempre stata la famiglia. C'è chi mi taccia di non essere ambiziosa, ma tutto sta nel cosa bisogna ambire. La mia grande ambizione è sempre stata la famiglia. In passato ho fatto dei tentativi un po' maldestri, poi alla fine ci sono riuscita e ormai sono sposata da 15 anni con mio marito che, come lo definisce Piovani, è un grandissimo «pionieristico compositore».