«Talvolta capita alle persone di trasformarsi in qualcuno che rappresenta il proprio peggiore incubo». Jennifer Connelly spiega così il dramma del suo personaggio in Pastorale americana, film tratto dall'omonimo romanzo di Philip Roth, un testo duro e complesso, per cui lo scrittore vinse il Pulitzer nel 1998. Il film con cui l'attore Ewan McGregor ha scelto, con molto coraggio, di esordire alla regia e che uscirà nelle sale italiane il 20 ottobre 2016. Protagonista lo stesso Ewan McGregor nei panni di Seymour, erede di una fabbrica di guanti, che negli anni '50 sposa Dawn, interpretata da Jennifer Connelly. La coppia ha una figlia, Merry (Dakota Fanning), che alle soglie dell'età adulta si ribella ai genitori e si dà alla macchia, dopo essere stata accusata di aver compiuto un attentato dinamitardo, mentre l'America è dilaniata dagli scontri razziali e dalle proteste per la guerra in Vietnam. «Dawn è una donna che mi ha commosso molto», racconta l'attrice, che incontriamo al Zurigo Film Festival. «Dopo essere stata eletta Miss New Jersey, è costretta a lottare per tutta la vita con quel titolo, che crea una percezione di lei come una persona vuota; così cerca di provare di essere molto più che una reginetta di bellezza. È tragicamente ironico il fatto che la disgregazione della sua famiglia la porti a desiderare un intervento di chirurgia estetica, insomma a voler somigliare di nuovo a quel modello di donna».

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Le è mai capitato di dover dimostrare di non essere solo bella?

Sinceramente no. E non credo di somigliare a Dawn: le nostre vite sono molto diverse. Ma proprio questa è una delle cose che amo del mio lavoro: la possibilità di trascorrere del tempo con personaggi molto lontani da me. Per me è molto importante avere la possibilità di capire la prospettiva altrui.

Perché?

Tra i tanti temi trattati dal romanzo, quello che mi ha colpito di più è il modo in cui si mescolano una visione soggettiva e oggettiva della storia e dei personaggi. Mi ha fatto pensare al modo in cui noi tutti giudichiamo gli altri e molto spesso li fraintendiamo, gli appiccichiamo un'etichetta e non cogliamo le sfumature, ma li vediamo in bianco e nero.

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Lei ha tre figli: Kai, 19 anni, nato dal fotografo David Dugan, Stellan, 13 e Agnes, 5, nati dal suo attuale marito Paul Bettany. Essere madre l'ha aiutata a interpretare questo personaggio?

È vero che il rapporto tra Dawn e Merry mi ha colpito molto: il loro legame è fortissimo ma è destinato a interrompersi tragicamente, per il rifiuto di Merry nei suoi confronti. Mi sono immedesimata, ma non al punto di immaginare come sarebbe perdere un figlio in quel modo: credo sia il peggior incubo possibile per un genitore. In ogni caso non sono di quelle che pensa che avere figli sia un requisito essenziale per interpretare una madre.

È vero che questo film avrebbe dovuto girarlo anni fa con suo marito Paul?

Sì, a un certo punto avevamo firmato per interpretarlo, ma poi come spesso capita in questo mestiere, le cose sono andate in modo diverso. Certo se avessi lavorato con Paul il film sarebbe stato diverso.

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Jennifer Connelly, 45 anni, con il marito Paul Bettany.

In che senso?

Quando ho recitato insieme a mio marito in A beautiful mind e Creation mi sono sentita a casa. Il nostro livello di intimità, quasi 14 anni di vita insieme, è stato fondamentale particolarmente quando mi ha diretto in Shelter: la parte di una senzatetto era talmente forte che avevo bisogno di esprimere la vulnerabilità che si può esprimere solo quando ci si fida completamente di qualcuno. Paul è il mio migliore amico, rispetto molto la sua opinione e spesso gli chiedo consigli sui miei ruoli. E lui li chiede a me.

E l'esperienza con l'attore-regista Ewan McGregor come è stata?

Speciale, perché non tutti nel suo ruolo mostrano un tale rispetto per la troupe e il cast. La cosa più divertente per me è stato provare le scene in solitudine, la mattina presto sul set, solo io e lui. Non mi era mai accaduto.

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Una scena di Pastorale americana, tratto dall\'omonimo romanzo di Philip Roth, con Jennifer Connelly e Ewan McGregor.

A lei piace fare le prove? Molti attori pensano che così si perda la spontaneità del primo ciak.

Dipende dalla scena, ma quando provi non interpreti la parte come se fossi davanti alla macchina da presa. Invece esplori diverse possibilità: è come quando dipingo e prima di prendere i pennelli realizzo uno schizzo a matita.

Cosa dipinge?

Oh, in realtà sono molti anni che non lo faccio, ma la mia passione sono i ritratti. Avrà capito che le persone mi interessano più di ogni altra cosa.

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Lei ha iniziato la sua carriera in Italia con C'era una volta in America. Che ricordo conserva di quel periodo?

Meraviglioso. Ho capito quanto fosse importante quel film solo molti anni dopo, ma ricordo l'affetto di Sergio Leone e la sua figura imponente. Mi mancano tante cose dell'Italia: non solo il cibo e la musicalità della lingua, ma soprattutto l'arte, la storia e l'architettura.

È vero che parla anche un po' di italiano?

Faccio finta, perché l'ho imparato stando nel vostro Paese, ma non l'ho mai studiato davvero.

Che progetti ha per il futuro?

Mi piace creare, forse tornerò a dipingere. O magari debutterò alla regia, adoro raccontare storie.